Da mesi stiamo assistendo a molti annunci di fusioni e acquisizioni tra grandi imprese in tutto il mondo. Diverse tra queste interessano la Francia.

Così, proprio in questi giorni, è stato deciso l’avvio di un processo di integrazione tra la francese Alstom e la tedesca Siemens nel settore dell’alta velocità ferroviaria, creando così un gigante da circa 15 miliardi di euro di fatturato all’anno.

I tedeschi avranno il controllo azionario e del consiglio di amministrazione della nuova compagine, mentre ai francesi toccheranno dei ruoli manageriali.

Per la società del paese vicino si tratta della cessione dell’ultimo settore rimasto di quello che era un gruppo orgoglio del paese, dopo che sono già passate di mano, una ad una, l’attività elettrica, ceduta agli americani, quella nelle telecomunicazioni, venduta ai finlandesi, i cavi a una famiglia cilena e infine anche gli stessi cantieri navali ceduti diversi anni fa ai coreani e che ora interessano la Fincantieri.

La vicenda ci interessa per molte ragioni. Intanto al gruppo Alstom afferiscono importanti attività italiane, che sono il residuo della nostra presenza a suo tempo importante nel settore; esse occupano ancora oggi da noi circa 2.600 persone, in vari siti produttivi.

Speriamo che i probabili processi di ristrutturazione che seguiranno all’accordo (si parla già di tagli di costi per diverse centinaia di milioni di euro all’anno) non tocchino anche negativamente le attività che si svolgono nella penisola.

Ma il fatto che i cantieri navali fossero una volta di proprietà della Alstom e che entrino nella partita appena decisa tra Francia e Germania anche insediamenti del nostro paese, non sono i soli punti di contatto con la vicenda Fincantieri-Stx e con l’Italia; un altro riguarda il fatto che si cede il controllo delle attività ferroviarie ai tedeschi con molta disinvoltura da parte francese, senza alcuna delle obiezioni che si fanno invece da qualche mese all’Italia per la Stx e che del resto non erano state fatte in alcun modo a suo tempo neanche ai coreani e persino ai cileni. C’è di che restare piuttosto perplessi.

Un altro punto di contatto tra le due vicende riguarda il fatto che dietro di esse c’è da parte francese anche la paura della Cina.

Nel caso della fusione Alstom-Siemens la decisione è diventata obbligata di fronte al fatto che da qualche tempo la cinese Crrc, grande peraltro come dimensioni produttive più del doppio della nuova compagine franco-tedesca, riesce a vincere un rilevante numero di gare nel settore, spiazzando tutti gli altri concorrenti. E temiamo che la fusione in atto non riesca a cambiare di molto le cose.

Sul piano dei costi, il produttore del paese di mezzo appare imbattibile e solo delle decisioni di tipo politico possono rivoltare di volta in volta i risultati altrimenti scontati delle gare internazionali.

Per quanto riguarda l’unione Fincantieri-Stx, invece, una delle obiezioni portate avanti dai francesi era quella che poi gli italiani avrebbero potuto cedere il know-how nel settore agli stessi cinesi, visto che la società ha avviato da qualche tempo una joint-venture produttiva con questi ultimi.

Ora comunque, è la notizia del giorno, sembra che si sia trovato un accordo tra il governo italiano e quello francese sulla partita dei cantieri.

L’accordo prevede una partecipazione 50%-50% dei due paesi, anche se agli italiani verrebbe prestato un altro 1% per dodici anni e presidente, e amministratore delegato sarebbero nominati sempre dagli italiani.

Verrebbe, con questa intesa, meno la promessa, molte volte reiterata dai nostri ministri, di non accettare in alcun modo una soluzione che non avesse previsto il controllo azionario pieno da parte della Fincantieri. Tra l’altro, l’1% prestato all’impresa italiana sarebbe soggetto a un controllo continuo del rispetto dei nostri impegni, in mancanza del quale tutto sarebbe rimesso in discussione.

Si tratterebbe alla fine di un compromesso vergognoso, che metterebbe in grande evidenza l’enorme disparità di trattamento francese verso di noi rispetto a quello molto più rispettoso mostrato nei confronti della Germania.

Non avremmo dovuto accettarlo.