È finalmente libero, dopo oltre sette mesi di carcerazione, il regista iraniano Mohammad Rasoulof. Una liberazione però non priva di preoccupazioni, perché secondo le parole del suo avvocato, si tratterebbe di una sospensione temporanea della pena – di sole due settimane – per permettere al regista di curarsi. L’amnistia annunciata all’inizio del mese da Khamenei sta però restituendo la libertà a diversi detenuti e anche a personaggi di spicco come il regista Jafar Panahi, la cui prigionia era legata a doppio filo con quella di Rasoulof; si spera quindi che lo stesso avverrà anche per quest’ultimo a titolo definitivo.

LA VICENDA giudiziaria dei due registi iraniani inizia infatti nel 2011, quando entrambi ricevono una condanna per sei anni di detenzione e il divieto di realizzare film addirittura per venti. L’accusa è quella di propaganda anti-governativa. Rasoulof e Panahi raccontano nei loro film la chiusura crescente del regime e la difficoltà di vivere in Iran. Proprio nel 2011 viene presentato Goodbye di Rasoulof, vincitore di due premi a Cannes – nonostante all’autore fosse stato impedito di partecipare al festival – dove protagonista è un’avvocatessa che cerca in tutti i modi di ottenere un visto per lasciare il Paese, una situazione analoga a quella dello stesso regista. Tuttavia nel 2011 i due autori sono liberi su cauzione dopo due mesi e continuano a realizzare film internazionalmente acclamati, in una «zona grigia» dei divieti.
Rasoulof continua ad avere il fiato sul collo delle autorità, trasferitosi in Germania, quando torna in Iran nel 2013 vede il suo passaporto confiscato. Riesce a riottenerlo, ma gli viene ancora una volta ritirato nel 2017, di ritorno dal Telluride Film Festival negli Stati uniti dove aveva presentato A Man of Integrity, incentrato sulla corruzione della burocrazia iraniana. Viene accusato ancora una volta di propaganda contro il regime. Viene quindi condannato agli arresti domiciliari. «Sono boicottato, voglio una risoluzione a questa mia odissea giudiziaria» aveva dichiarato, aggiungendo: «In Iran, nessuno osa pubblicare le mie parole. E hanno ragione, perché conoscono il potere dei media ed io sono uno che parla francamente».

DI NUOVO in libertà, ma impossibilitato a lasciare l’Iran, nel 2020 Rasoulof realizza Il male non esiste, il tema è quello della pena di morte nel suo Paese. Il film vince l’Orso d’oro alla Berlinale, il premio viene ritirato dalla figlia del regista mentre lui si collega in conferenza stampa con una videochiamata. Poi l’arresto lo scorso luglio, poco dopo che Rasoulof aveva chiesto pubblicamente che la polizia non usasse proiettili nella repressione delle manifestazioni nella città di Abadan, due mesi prima delle grandi rivolte per la morte di Mahsa Amini. Quando Panahi si reca dalle autorità per chiedere informazioni sulla carcerazione, viene arrestato anche lui, facendo valere quella vecchia condanna del 2011 non interamente scontata. Una condizione che di fatto tiene i due registi alla mercé del mutevole volere del regime.
La speranza ora è chiaramente che Rasoulof sia messo in libertà definitivamente, così come gli altri registi ancora in carcere, ma anche che arriverà presto un giorno in cui i suoi film, sempre tutti censurati, potranno essere visti e apprezzati anche dal pubblico iraniano.