Fillon non molla, ma lo scontro è Le Pen-Macron
Presidenziali Il candidato dei Républicains travolto dallo scandalo degli stipendi d’oro chiede scusa, ma si difende: "Tutto legale"
Presidenziali Il candidato dei Républicains travolto dallo scandalo degli stipendi d’oro chiede scusa, ma si difende: "Tutto legale"
Fillon non molla. Si dice vittima di un «processo diffamatorio, calunnioso» da parte dei media (adotta lo stile Trump), allude a una indefinita «operazione montata» contro di lui, presenta i conti (salari di moglie e figli, stato patrimoniale della famiglia, clienti della sua società di consulenza), nega il lavoro fittizio di Penelope, alla fine chiede scusa ai francesi: «È tutto legale», ma sono «pratiche di un’altra epoca ormai rigettate dall’opinione pubblica, è stato un errore».
Con una conferenza stampa di guerra, ieri è ripartito all’attacco. Contro i suoi, che dubitano ormai a voce alta: «Nessuna istanza può rimettere in gioco il risultato delle primarie», che ha vinto contro Juppé, «un piano B sarebbe un piano Beresina» (di sconfitta). Contro la giustizia: secondo i suoi avvocati, la Procura finanziaria, che ha aperto l’indagine sul presunto lavoro fittizio di Penelope come assistente parlamentare (pagato 900mila euro, ma Fillon afferma che lo stipendio è stato di 3677 euro al mese) non ha la competenza. E, soprattutto, Fillon è «contro il sistema»: «Il mio programma disturba il disordine stabilito» e «il tentativo disperato» di questo stesso sistema di «organizzare un faccia a faccia Marine Le Pen-Emmanuel Macron». I sondaggi difatti danno ormai Fillon escluso dal ballottaggio (e i suoi rivali a destra hanno già pronte delle petizioni chi per richiamare Juppé, chi per escludere Fillon e incoronare un seguace di Sarkozy).
Nel fine settimana, Marine Le Pen e Macron si sono scontrati a Lione, presentandosi anch’essi come candidati anti-sistema. Ma hanno subito ceduto a una delle piaghe del sistema: aumentare il numero dei presenti ai rispettivi comizi (Macron parla di 16mila persone, in realtà erano più o meno la metà, 8-10mila; Marine Le Pen di 5mila). A Lione (e a Parigi, ma sotto forma di ologramma) c’era anche Jean-Luc Mélenchon e anche lui ha visto in grande, 12mila al comizio in carne e ossa, 6mila per l’ologramma. Più modesto Benoît Hamon, che alla Mutualité a Parigi ha lanciato la campagna di fronte a 2mila persone, con la presenza di alcuni ministri ed ex (Christiane Taubira, che conserva una forte popolarità a sinistra). Hamon deve recuperare uno spazio tra Macron e Mélenchon, che difficilmente riuscirà a convincere ad accettare un accordo (mentre l’intesa è in corso di negoziato con i Verdi e il Pcf oscilla). Mélenchon, che stando agli ultimi sondaggi sarebbe superato da Hamon al primo turno (ma nessuno dei due arriverebbe al ballottaggio) sarebbe disposto a discutere solo se il candidato Ps accettare «un colpo di scopa» nel suo partito, facendo fuori «i Touraine, El Khomri, Valls, di cui noi vogliamo abolire le leggi». Ma Hamon non è in questo spirito del «fuori tutti», cerca al contrario di unire il Ps sulla base di un progetto (e non sulle recriminazioni rispetto al bilancio di Hollande).
Nel week end degli starting block della campagna presidenziale, il principale duello è tra Marine Le Pen e Emmanuel Macron, che i sondaggi del momento anticipano come quello del ballottaggio del 7 maggio prossimo. Lo scontro frontale è sull’Europa. Macron, per la candidata dell’estrema destra, è un «mondialista spregiudicato», «rappresentante della banca Rothschild» (dove ha lavorato), «scalpitante puledro del partito dell’estero». Il Fronte nazionale ha un programma radicale sull’Europa: uscita dalla Ue e dall’euro (non si sa in quale sequenza). Mentre Maastrich compie 25 anni (il trattato è stato firmato il 7 febbraio ’92), l’Ue viene considerata dall’estrema destra come la causa di tutti i mali – immigrazione, disoccupazione, ma anche decino della scuola, crisi dell’agricoltura, perdita di competitività dell’industria francese – e che basta la ricetta semplice di abbandonarla per risolvere tutto con un colpo di bacchetta magica. Macron risponde mettendo in guardia contro una famiglia – i Le Pen – che finge di parlare «a nome del popolo», ma parlano solo «per se stessi, di padre in figlia, dalla figlia alla nipote». Per Macron «alcuni pretendono oggi di parlare a nome del popolo, ma sono solo dei ventriloqui, attribuiscono ai francesi dei valori che non sono i loro. Tradiscono la libertà restringendo i nostri orizzonti, tradiscono l’eguaglianza decretando che alcuni sono più eguali degli altri, tradiscono la fratellanza poiché detestano i volti che non assomigliano loro». Lo scontro è tra chi distilla l’odio, Macron parla di «acredine» e chi guarda al futuro. L’avvio della campagna presidenziale mostra cosi’ una prima grossa frattura, con due candidati, Hamon e Macron, che rifiutano l’astio e propongono un futuro. Certo differente, per Hamon il rivale Macron è «una creatura del sistema» travestita nei panni del «grande riformatore».
La decisione di Fillon di restare nella corsa indebolisce la destra classica, perché i dieci giorni della tempesta del Penelopegate lasceranno delle tracce. I Républicains sono profondamente divisi e dubitano della tenuta di Fillon, che avrà difficoltà a promettere lacrime e sangue (è il suo programma) mentre deve giustificarsi per essersi lautamente servito nelle tasche dei contribuenti a vantaggio dei suoi famigliari. L’inchiesta, difatti, si ramifica. Bisognerà vedere se la pubblicazione delle remunerazioni di Penelope Fillon saranno sufficienti per gli inquirenti. Secondo Le Monde, c’è anche il problema del figlio Charles, remunerato con i soldi del parlamento, ma che avrebbe lavorato per la campagna di Sarkozy nel 2007 (Fillon ieri ha smentito).
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