La vicenda del tentato omicidio con agente nervino del double agent russo Sergej Skripal e di sua figlia Julia in piena Salisbury, lo scorso 4 marzo, sta degenerando.

ALLO SCONTRO DIPLOMATICO londinese-moscovita di questi ultimi giorni si aggiunge ora quello del ministro degli esteri Boris Johnson. In piena possessione churchilliana e russofobica – la location inebriante era un hangar di spitfire (un caccia) dove si trovava con la controparte polacca a celebrare la battaglia d’Inghilterra: difficile immaginare un set più consono, pazienza che allora il nemico fosse Berlino – un visibilmente sovreccitato Johnson ha detto che Vladimir Putin in persona è in maniera «categoricamente probabile» il mandante del tentato omicidio Skripal, lasciandosi sfuggire ossimori leggeri come macigni.

EVIDENTEMENTE CERCAVA di eguagliare il neoministro della difesa, il giovin Gavin Williamson, che giovedì, commentando l’espulsione dei 23 «diplomatici» russi decretata da Theresa May in un discorso a Bristol, aveva detto che Mosca doveva «chiudere il becco e andarsene». Ma se Johnson ha potuto di nuovo esprimersi al suo meglio è perché sa di avere finalmente le spalle coperte. La tensione, infiammata da una bufera propagandistica che rivaleggia con la letteratura di genere, era salita alle stelle giovedì, quando gli alleati del blocco occidentale della Nato, Francia, Germania e gli Stati uniti del pur «russofilo» Donald Trump, si stringevano attorno a Theresa May. Quello di Salisbury è stato un «assalto alla sovranità» del Regno unito, hanno affermato i leader occidentali.

Un endorsement di cui Londra aveva pressante bisogno, soprattutto dopo che il francese Emmanuel Macron, al timone di una nazione che ama sentirsi vittoriosa soprattutto quando perde – come Charles De Gaulle ci ha magistralmente insegnato – ha sconfitto la propria tradizionale riluttanza ad accodarsi al carro anglosassone.

SOLO MERCOLEDÌ SCORSO il portavoce del presidente francese aveva ammonito i colleghi britannici dall’abbandonarsi a «fantasie politiche». «Vedi che succede ai britannici sul più bello della Brexit», avrà pensato. Ma poi lo stesso Macron aveva corretto il tiro, parlando di «nessun’altra spiegazione plausibile» come alternativa alla diretta responsabilità di Mosca nell’attacco. Più cauta, anche perché all’inizio del suo quarto mandato, Angela Merkel.

Ieri, durante la conferenza stampa congiunta tenuta a Parigi proprio a fianco di Macron, ha attenuato i toni, parlando di «molte tracce che portano alla Russia» come responsabile del delitto e «attendendo con favore» le prove di questa responsabilità (prove che, bisogna ricordare, Londra si è ben guardata dal fornire).

QUANTO AL PARTITO LABURISTA, non ci si dà pace per l’eterodossia di Jeremy Corbyn, primo leader laburista della storia a tralignare dall’assoluta compattezza con i tories in questioni di politica estera. La sua riluttanza a colpevolizzare Mosca con lo stesso entusiasmo di media mainstream ed establishment britannici ha riportato a galla le speranze della fazione moderata del partito, che non gli perdona di aver tradito lo «spirito di Dunkirk».

Perfino Stephen, il mediocre rampollo di Neil Kinnock, spietatamente ridicolizzato da un recente documentario girato dalla Bbc durante alle ultime elezioni politiche, ne ha approfittato per attaccare «lo scarso patriottismo» di Corbyn, di cui lui e suo padre sono, dall’inizio, riducibili nemici. Nel frattempo Scotland Yard considera la morte di un altro esule russo, Nikolaj Glushkov, ex direttore dell’Aeroflot, avvenuta lo scorso 12 marzo a Londra, come ufficialmente un caso di omicidio. Skripal e la figlia sono ancora in ospedale, in condizioni critiche.