«Voglio presentarmi a voi questa sera come un africano, e voglio che voi mi guardiate come qualcosa di nuovo, di cui non sapete niente: perché il 99 per cento delle informazioni che vi arrivano sull’Africa sono false». Novembre 1978: Fela Kuti si esibisce ai Berliner Jazztage e si presenta al pubblico in maniera perentoria. È il suo primo concerto di rilievo fuori dalla Nigeria e Fela Kuti in quel momento è davvero qualcosa di nuovo: il suo afrobeat appare come la rappresentazione più potente e orgogliosa che la nuova Africa post-coloniale propone di se stessa.

POMERIGGIO di un giorno infrasettimanale alla mostra su Fela Kuti alla Cité de la Musique, inaugurata il 20 ottobre scorso: c’è una piccola folla davanti al grande schermo su cui scorrono le immagini dello storico concerto berlinese, e diversi degli spettatori sono bambini e ragazzini che sono venuti a visitare l’esposizione acccompagnati dai genitori, e che si sono seduti per terra, catturati, a guardare l’ipnotico show di Fela. Un’oretta di esibizione, quattro pezzi, quello che era consentito nell’economia del cartellone del festival del jazz di Berlino: chi si ferma un momento, difficilmente poi riesce a staccarsi prima di avere visto tutto. Oltre quarant’anni dopo il concerto di Berlino, e a venticinque dalla morte (agosto 1997), il magnetismo di Fela è intatto: per chi ha vissuto l’esperienza di Fela Kuti dal vivo vedere con l’impatto di un grande schermo le spettacolari immagini di Berlino è un’emozione che riporta indietro negli anni, per chi non era ancora nato è una rivelazione che chissà dove potrà portare.
Fela: Rébellion Afrobeat, che resterà aperta fino all’11 giugno 2023 (bel catalogo di circa 200 pp., in francese), è una mostra a cui bisogna mettere in conto di dedicare del tempo. Con altri schermi, la prima sala immerge il visitatore nel panorama urbano e umano della Lagos degli anni sessanta e settanta, la Eko degli yoruba che diventa una metropoli e conosce un tumultuoso sviluppo: è uno degli effetti della scoperta del petrolio e del boom economico nigeriano, che di effetti ne avranno anche altri, su cui l’afrobeat di Fela, radicato nel suo habitat di Lagos, punterà l’attenzione con un’audacia senza precedenti nella musica nigeriana così come in quella africana in generale: interessi delle multinazionali, corruzione, dittatura, violenza militare. Il talento, l’impegno e il suo anticonformismo non erano un evento improvviso o semplice genialità individuale, ma avevano un background familiare importante

LA MOSTRA è precisa nel mettere in risalto come il talento, l’anticonformismo, l’impegno di Fela non siano un evento improvviso, di semplice genialità individuale, ma abbiano come premessa un background familiare importante. Il nonno, Josiah Jesse Ransome-Kuti, è un pioniere della chiesa anglicana in Nigeria, e compositore di inni religiosi in yoruba. Ma è soprattutto la figura della madre, Funmilayo Ransome-Kuti, a giganteggiare: negli anni quaranta si batte per la riforma della politica coloniale britannica e anima il movimento delle donne del mercato della città di Abeokuta (città di nascita di Fela) contro il re tradizionale e gli amministratori inglesi, e nel ’47 guida novemila donne che occupano il palazzo del re; un filmato la mostra, sempre nel ’47, unica donna in una delegazione di sei esponenti del NCNC, partito nazionalista nigeriano, ricevuta in Gran Bretagna; è amica personale di Kwame Nkrumah, il padre dell’indipendenza del Ghana.

Fela Kuti e attivisti, novembre 1978. Collezione Jacqueline Grandchamp Thiam

E si potrebbe continuare a lungo. Ma c’è anche un risvolto musicale della sua attività militante che è segnalato dalla mostra, come preludio all’uso politico della musica da parte del figlio: nel citato movimento di donne del ’47 vengono impiegati canti yoruba con slogan di lotta e rivendicazione. Funmilayo Ransome-Kuti rimane poi vicina alle scelte del figlio: durante il brutale assalto militare del ’77 alla Kalakuta Republic, la comune di Fela, viene gettata da una finestra, e morirà poi in seguito ai traumi riportati.

DELLA QUOTIDIANITÀ della Kalakuta Republic molte riproduzioni a colori in grande formato di scatti di diversi fotografi offrono una vivida illustrazione; in molte foto Fela appare in slip, che in casa erano il suo abbigliamento abituale: e la mostra, in uno dei suoi lati più brillantemente «pop», esibisce anche una collezione di undici slip colorati di Fela, indossati tra fine anni settanta e anni novanta. Altre foto e uno schermo con immagini e filmati raccontano invece lo Shrine, il mitico club di Fela. La mostra è ricchissima di aspetti e approfondimenti: il Movement of the People, fondato nel ’78, le persecuzioni, fino alla carcerazione degli anni ottanta, le letture di Fela, la grafica delle copertine, il presente dell’afrobeat e del mito Fela.
Senza glissare sul maschilismo di Fela: e citando il caso di una delle ragazze del suo entourage, che in un’intervista raccontò che il suo primo rapporto sessuale con lui era avvenuto sotto costrizione. È una delle «Queen» di Fela a cui encomiabilmente l’esposizione dà un nome e una storia, accompagnando con la ricostruzione delle loro vicende personali una serie di splendidi primi piani dell’83 del fotografo Bernard Matussière: adolescenti di origini a volte povere ma a volte anche benestanti, che affascinate dalla musica di Fela e dai nuovi valori che rappresentava, negli anni settanta lasciarono le loro famiglie per raggiungere la Kalakuta Republic e condivisero poi l’esperienza artistica di Fela e anche i rischi del suo impegno: alcune furono violentate durante l’assalto alla comune nel ’77.