Federica Mazzoni, 36 anni, madre di tre figli, è presidente del quartiere Navile di Bologna e, dalla fine del 2021, è diventata anche segretaria del Pd bolognese, la prima donna nella lunga storia di quella che è stata la più grande federazione del Pci, poi Pds, Ds e Pd. «A Bologna abbiamo preso il 33%, ma le punte più alte sono state nei quartieri popolari, come il Pilastro, dove Salvini fece quella famosa citofonata. Da noi non c’è nessuna sindrome della ztl».

Bologna è un caso a parte, non fa storia.

Non è così, e non solo perché nel 1999 perdemmo il Comune. Il risultato non è frutto della tradizione, non c’è nulla di scontato. L’idea del fortino dove nulla può cambiare è sbagliata.

Perché siete andati bene anche in una tornata molto negativa per i dem?

Perché qui, con il sindaco Matteo Lepore, siamo in marcia da tempo per dare al Pd un profilo chiaramente di sinistra, con umiltà e determinazione. Abbiamo dimostrato di saper affrontare i problemi sulla base di valori chiari ma anche con concretezza. Per noi non può esistere una forza di sinistra che non offre una prospettiva di cambiamento sociale.

Al Pd nazionale è mancata?

Sì, manca da troppi anni. Siamo percepiti, e non a torto, come il partito della responsabilità, che spesso assume il significato di conservazione. Non siamo stati capaci di stare nei conflitti, di dare risposte a domande di disagio e sofferenza di una società ferita dalle politiche neoliberiste che hanno acuito le diseguaglianze, e dato l’idea a molte persone che il futuro è privo di prospettive. Penso soprattutto al tema del lavoro: non abbiamo capito che la tecnologia ha portato anche grande alienazione soprattutto ai lavoratori delle piattaforme e della logistica. E poi il precariato: oggi il lavoro spesso non offre una realizzazione alle persone, crea ansie con i ritmi disumani. Il Pd che vorrei è un partito che libera le persone e il loro tempo, che le aiuta a vivere meglio.

Il suo partito si è presentato da un lato come erede dell’agenda Draghi; dall’altro con un programma progressista sui temi del lavoro.

Il programma era di sinistra come mai in passato, ma c’era un problema di credibilità che noi non avevamo. Sui temi del lavoro non siamo andati in profondità, e dentro il governo Draghi non siamo stati capaci di dire che quella era una formula di emergenza, non il nostro progetto per l’Italia. Identificarsi in quel governo è stato un errore.

In realtà una parte importante del Pd era davvero identificata con le ricette di Draghi.

È per questo che serve un congresso profondo, questi nodi non si risolvono cambiando segretario. Va ritrovata la nostra ragione sociale, che per me è rappresentare le persone che hanno avuto meno diritti e meno protezione. Se le persone non percepiscono che abbiamo fame di cambiare una società che non funziona, non ci votano. E questo riguarda anche il modello di sviluppo economico e l’ambiente: bisogna iniziare a produrre in modo differente, e sostenere le imprese in questa transizione.

Nel Pd possono ancora convivere istanze di sinistra e liberali?

Quando dico un partito di sinistra non significa un partito più piccolo. Però rispetto a quando siamo nati, nel 2007,, la crisi del neoliberismo si è abbattuta in modo violento sulla nostra società, e quindi anche il Pd deve adeguarsi per dare le risposte giuste a un mondo che è cambiato.

Difficile che un congresso possa bastare per un cambiamento di prospettiva così radicale.

E forse ce ne vorrà più di uno, e bisognerà avere il coraggio di cambiare l’organizzazione e lo statuto.. Riconoscere i propri limiti è un atto di coraggio, il deserto lo dobbiamo attraversare tutto e senza scorciatoie. Promettendo ai nostri elettori che torneremo al governo solo dopo aver vinto le elezioni.

Da voi il M5S è sotto il 10%.

Se fai politiche di sinistra non perdi voti i quella direzione. Noi qui abbiamo alleanze ampie, ma attorno a una piattaforma chiara. Le persone le convinci solo se sai sei e chi vuoi rappresentare.

Il Pd ha creduto molto nelle misure di protezione sociale del governo Draghi.

Le persone non le convinci con misure spot, serve qualcosa di più, dare un orizzonte di cambiamento anche collettivo. Qui siamo abituati a governare, ma questo non esaurisce il compito di una forza politica.

Forse lei ha sbagliato partito.

No, mi creda. Io amo il Pd e voglio cambiarlo profondamente.

In corsa per la leadership ci sono molti emiliani, da Bonaccini a Schlein.

Mi pare evidente che Bologna e l’Emilia- Romagna non sono più solo un granaio di voti come ai tempi del Pci. Spero che tutti diano un contributo per migliorare il nostro partito.

Forse servono facce nuove.

Siamo a un bivio, quando dico che dobbiamo cambiare radicalmente e smettere di ripetere gli stessi errori penso anche a questo.