Molte centinaia di coppie palestinesi «miste», con un coniuge cittadino israeliano e l’altro residente nei Territori occupati, erano in attesa ieri sera del voto della Knesset sull’estensione della legge che dal 2003 nega loro il ricongiungimento familiare per presunti «motivi di sicurezza». Il rinnovo della legge, da anni aspramente criticata dai centri per i diritti umani per i suoi riflessi sulla vita di migliaia di civili, appariva in forse per le distanze emerse nell’eterogenea maggioranza di governo tra partiti di destra e di centrosinistra. Ad aggiungere altra incertezza era la posizione della destra all’opposizione, che fa riferimento all’ex premier Netanyahu, che pur essendo ideologicamente a favore dell’estensione della legge antipalestinese, era intenzionata a votare contro per provare a dare una spallata al governo.

I partiti Meretz (sinistra sionista) e quello islamista Raam, insieme ad alcuni parlamentari laburisti, hanno ripetuto di essere contro l’estensione della legge, almeno nel suo testo attuale, perché «ingiusta e discriminatoria» e volta solo al controllo demografico. «Dobbiamo votare contro queste norme che non abbiamo mai condiviso e di cui più volte abbiamo chiesto l’abrogazione», ha esortato Zahava Gal On, ex leader del Meretz. Contro il rinnovo della legge era schierato anche Mansour Abbas, il capo degli islamisti entrati nel governo, al quale occorrono risultati concreti per provare ai suoi elettori di non aver commesso un tragico errore accettando di unirsi a un esecutivo guidato da un premier, Naftali Bennett, che ideologicamente è più a destra del suo predecessore Netanyahu e che non è stato eletto per assicurare la piena uguaglianza tra ebrei e arabi in Israele.

Bennett, confermando le sue posizioni, ieri ha chiesto il rinnovo della legge accusando il Likud di Netanyahu e i partiti suoi alleati di «giocare con la sicurezza di Israele» e di voler eliminare uno strumento, a suo dire, fondamentale per prevenire il «terrorismo». Netanyahu ha replicato che «il ruolo dell’opposizione è quello di rovesciare il governo». Un governo ha aggiunto, «pericoloso e fondato su forze antisioniste che non è in grado di preservare il carattere ebraico dello Stato di Israele». L’ex premier ha offerto a Bennett l’approvazione da parte di tutti i partiti sionisti, dentro e fuori il governo, di una legge fondamentale sull’immigrazione per sancire in via definitiva che i palestinesi non avranno la cittadinanza sposando degli arabo israeliani.

La legge fu approvata in via «temporanea» nel 2003 su iniziativa del premier scomparso Ariel Sharon. Si era in piena Intifada e la «necessità di evitare il terrorismo e gli attentati» – alcuni palestinesi in possesso di documenti israeliani avevano partecipato ad attacchi – offrì l’opportunità a Sharon per far approvare una soluzione per la crescita demografica degli arabi di Israele. Questi motivi reali furono, di fatto, alla base della sentenza con la quale la Corte Suprema respinse nel 2012 la petizione per l’abrogazione della legge presentata da centri per i diritti civili ed umani. La vita di migliaia di palestinesi da una parte e dall’altra della linea verde tra Israele e i Territori, è stata fortemente segnata dalla negazione del ricongiungimento familiare. Pur di vivere assieme al coniuge, numerosi arabo israeliani (quasi sempre donne) hanno dovuto trasferirsi in Cisgiordania, qualche volta anche a Gaza. Una direzione che, sostengono attivisti dei diritti umani e commentatori palestinesi, la destra israeliana vorrebbe che prendessero tanti altri cittadini arabi di Israele.

Ammettendo che la legge è necessaria «per motivi di sicurezza e per ragioni demografiche» la ministra dell’interno Ayelet Shaked ieri sera era vicina ad accettare un compromesso proposto da Meretz e Raam per rinnovare la legge per sei mesi, anziché un anno, e concedere facilitazioni alle coppie rimaste separate per anni. Shaked, esponente di punta della destra ultranazionalista, ha però rifiutato di concedere subito la cittadinanza almeno ai palestinesi dei Territori già residenti, in qualche caso da venti o trent’anni, in Israele.