Gli stanziamenti militari americani per le guerre globali (Ucraina, Israele, potenziale teatro Indo-pacifico) rimangono ostaggio delle manovre elettorali nel Congresso. In particolare, del presidente integralista della Camera, Mike Johnson, che pur di impedire l’approvazione dei fondi ha mandato in vacanza i deputati per due settimane. Johnson è la mano di Trump in parlamento e le sue tattiche sono frutto, più ancora che di un presunto neoisolazionismo, della narrazione secondo cui gli Stati uniti non possono assistere chicchessia fin quando debbono far fronte all’invasione delle orde di immigrati clandestini all’assalto del confine meridionale, lasciato sguarnito da Joe Biden.

La sceneggiata sovranista è talmente efficace nel compattare la base neo-GOP che perfino un decano dei falchi neoliberisti come il senatore Lindsey Graham, che l’anno scorso a Kiev abbracciava Zelensky giurando eterna disponibilità dell’arsenale della democrazia, questo mese ha ripetutamente votato contro il pacchetto pro-Ucraina e disertato la conferenza di Monaco sulla sicurezza per andare a farsi l’obbligatorio selfie sul confine messicano in Texas.

Nel paradosso populista inveterati combattenti della guerra fredda si contorcono per conciliare le boutade anti-Nato e filo putiniste di Trump coi decenni passati ad assalire «l’impero del male».

Ancora più paradossale, da questo punto di vista, è il blocco collaterale degli aiuti ad Israele, il cui sostegno è praticamente un dogma inamovibile per entrambi i partiti. Ma gli armamenti e munizioni spedite al governo autore dell’eccidio di Gaza non sono l’unico canale di assistenza.

La rete pro-Israele in America è capillare e straordinariamente efficiente grazie a lobby come AIPAC (American Israeli public affairs committee) che da un lato organizza campagne di opinione e veicola fondi a politici “amici” per assicurare il sostegno nel Congresso e dall’altro intraprende campagne punitive contro chi critica l’operato di Israele. L’associazione ha di recente annunciato uno stanziamento di 100 milioni di dollari per assicurare la sconfitta di parlamentari progressisti come Alexandria Ocasio Cortez, che hanno chiesto un cessate il fuoco a Gaza.

Molti altri soldi americani raggiungono Israele attraverso canali privati. Una inchiesta del periodico online New Lines Magazine, a firma di Matthew Petti, esamina come la campagna di sostituzione etnica portata avanti dai coloni nei territori palestinesi sia in gran parte finanziata da cene sociali e ricevimenti di charity organizzati da bravi cittadini nelle tranquille periferie americane. Solo i barbecue e le degustazioni di vini organizzati dalla One Israel Fund raccolgono attorno ai tre milioni di dollari l’anno per la sicurezza degli insediamenti in Giudea e Samaria – il nome con cui i sionisti designano i territori occupati. In particolare New Lines esamina il caso di Beit El, un insediamento di 7000 coloni che sorge su terre sequestrate, nei pressi del campo profughi palestinese di Jalazone, dove oltre il doppio di abitanti vivono in un’area grande la metà.

Il villaggio ebreo comprende la base della 887ma divisone della Giudea e Samaria, unità dell’esercito di stanza in Cisgiordania ed è abitato da molti coloni affiliati a movimenti di estrema destra. Da anni Beit El è beneficiario di un flusso ininterrotto di donazioni di beneficienza provenienti in gran parte dai sobborghi di Long Island, NY, noti come Five Towns, comunità con una densa popolazione ebraica nella Nassau County.

Beit El ha un efficiente ufficio preposto al reperimento di fondi che indirizza regolari newsletter ad abbonati in Nord America chiedendo assistenza per opere benefiche, che comprendono però anche la gestione di un’accademia «pre-militare» (Beit El yeshiva) e più di recente l’acquisto di droni di sorveglianza con telecamere a infrarossi. Le donazioni vengono raccolte attraverso Israel Empowered una non-profit consacrata alla “protezione” dei coloni nei territori. Un’altra, IsraelGives, permette di destinare i contributi direttamente a reparti dell’esercito. Una terza,la Israel Land Fund, ha come missione di «assicurare che la terra di Israele rimanga in mani ebree per sempre – una casa alla volta». I sostenitori possono investire in beni immobili e terreni in «Giudea e Samaria» e nelle Alture del Golan.

Le organizzazioni sono enti senza scopo di lucro e le donazioni che raccolgono sono detraibili dalle tasse, per cui gli aiuti al movimento degli insediamenti illegali ricevono di fatto un sussidio da parte del governo degli Stati Uniti.

La guerra a “bassa intensità” perseguita da anni dall’estrema destra per sottrarre territori ai Palestinesi in Cisgiordania si è intensificata dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre. Stando ai dati delle Nazioni Unite, nei Territori, il 2023 è stato l’anno più violento con 1225 casi di violenza di coloni contro civili palestinesi (e altri 140 di Palestinesi contro coloni). Dal 7 ottobre al 30 dicembre il coordinamento Onu per gli affari umanitari (OCHA) ha registrato l’espulsione di almeno 198 famiglie palestinesi – compresi 586 bambini – dalle loro abitazioni. Il 23 ottobre, durante raid dell’esercito in tutti i territori, sodati israeliani hanno ucciso due persone a Jalazone e demolito un’abitazione di un presunto attivista di Hamas.

Ufficialmente gli USA criticano gli insediamenti come impedimenti alla soluzione dei due stati ed hanno applicato sanzioni economiche a personaggi di spicco del movimento dei coloni. Ma Ie donazioni private continuano a scorrere. Secondo un’indagine di Haaretz solo dal 2009 al 2013 gli insediamenti avevano ricevuto oltre 220 milioni di dollari. Dopo il 7 ottobre i solleciti si sono fatti più urgenti. Una recente newsletter di Beth El sosteneva che «non vi è differenza» fra Hamas e la popolazione di Gaza. Un video spedito in allegato promuoveva la «deportazione della popolazione» della Striscia.

Intanto a New York, i ricevimenti di sostegno di Beit El sono diventati importanti appuntamenti mondani e politici per vedette della destra americana. Fra gli ospiti presenti negli anni, il governatore della Florida Ron DeSantis, l’ex governatore dell’Arkansas e pastore teocon, Mike Huckabee, oltre a David Friedman e Jared Kushner. Questi ultimi due, esponenti della passata amministrazione Trump, un ex (e forse prossimo) presidente che non ha mai fatto segreto di una innata sintonia con Netanyahu e il movimento degli insediamenti.