Sulla possibile candidatura alle europee di Elly Schlein arriva lo stop di Romano Prodi: «Se metti cinque candidature e ne scegli una vuole dire che alle altre quattro non ci vai. In alcuni casi non ci vai proprio. Questo è un vulnus per la democrazia», ha detto ieri in Campidoglio a un convegno in ricordo di David Sassoli. Si riferisce a Schlein? «Io non stoppo nessuno, ho parlato di candidature multiple. È un serio principio di democrazia. Se continuiamo a indebolire la democrazia in tutti i suoi aspetti, poi non ci lamentiamo se arriva la dittatura».

IL FONDATORE DELL’ULIVO (che ieri ha richiamato la necessità di una coalizione «pluralista, fatta di pezzi diversi») lo aveva accennato anche giovedì sera a Piazzapulita: «Candidarsi dove sai che non andrai svilisce la democrazia. La destra lo può fare, i progressisti no». E aveva invitato il Pd a «prendere i capilista dalla società civile», insieme a «giovani che imparano». Il ragionamento è semplice: candidare chi davvero andrà a Bruxelles a fare il lavoro da europarlamentare. Nelle elezioni del passato il Pd lo ha sempre fatto: ci sono stati casi di big che si sono candidati e poi dimessi, come Bersani e Letta nel 2004: ma allora non erano segretari di partito e comunque svolsero quel mestiere per diversi mesi.

IL CASO DI SCHLEIN CAPOLISTA in tutte e 5 le circoscrizioni sarebbe una novità per i dem. Lei è tentata, per varie ragioni: la prima è che non ha nel suo gruppo dirigente figure in grado di prendere molti voti di preferenza. E poi c’è l’obiettivo di rinsaldare la sua leadership: con oltre un milione di preferenze sarebbe difficile, anche in caso di risultato del Pd sotto il 20%, pensare di sostituirla alla guida del partito. Ultima motivazione: la possibilità di una sfida a due con Giorgia Meloni, anche lei tentata dalle urne, per polarizzare la competizione e affermare la centralità del Pd come partito leader dell’opposizione a discapito del M5S (grazie anche al duello tv).

Insomma, le ragioni non mancano ed è anche per questo che Schlein continua a pensarci. Nonostante lo stop di Prodi, di Bonaccini e anche di alcuni colonnelli della sua maggioranza, a partire da Peppe Provenzano: «Le elezioni europee sono un appuntamento troppo importante per essere ridotte a una contesa personale fra leader, credo sia giusto ascoltare Prodi».

NON SONO PASSATE inosservate neppure le parole di Giuseppe Conte, che ha lanciato la sfida: «I leader non corrano, sarebbe una presa in giro per i cittadini». Ieri si è unito alla richiesta di moratoria anche Calenda. Andrea Orlando replica a muso duro: «Si potrebbe rispondere a Conte che chi vota Cinque stelle non sa in quale gruppo parlamentare europeo si andranno a sedere i suoi eletti. Non mi pare una posizione dalla quale dare lezioni», dice in un’intervista a Huffpost.

E ancora: « Io, pur essendo un sostenitore dell’alleanza, credo che nell’interesse dell’alleanza stessa il Pd debba reagire più tempestivamente alle azioni corsare di Conte», dice l’ex ministro del Lavoro. Alle obiezioni di Prodi risponde: «La sua opinione è sempre rilevante, ma c’è anche il bisogno di motivare fortemente l’elettorato. Ora è urgente definire il senso della sfida europea e poi ragioneremo sulle liste».

I DEM HANNO GIÀ A MESSO a fuoco i fondamentali del programma: transizione ecologica, politica estera comune, riforma del trattato di Dublino per condividere la gestione dei migranti, potenziamento del welfare grazie anche a nuove forme di finanziamento stile Pnrr («green deal dal cuore rosso», l’ha definito Schlein), eliminazione del voto all’unanimità nel consiglio Ue, il no all’austerità («Sul nuovo patto di stabilità c’è stato un pericoloso passo indietro»), regole fiscali più stringenti per i colossi del web.

Ieri Schlein ha detto che «dovremo mettere i nostri corpi per far sì che la finestra sociale che si è aperta con la pandemia non si richiuda». E da Prodi è arrivata una spinta sulla politica estera: «Per difendere i diritti l’Ue deve avere più forza, mi sono sentito umiliato dall’assenza di una iniziativa di mediazione sull’Ucraina». La segretaria ha puntato su un altro cavallo di battaglia: «La sfida è mobilitarci per fermare l’onda nera del nazionalismo. I saluti romani, le adunate fasciste, i deputati pistoleri: quello che sta succedendo non è normale. Il fascismo non è un’opinione ma un reato, una piaga». Parole che danno l’idea di quale potrebbe essere il cuore della sfida a Meloni: il replay del rosso contro nero che ha segnato la campagna (perdente) di Enrico Letta per le politiche 2022.