Di fronte alla catastrofe di Lesbo, ieri sono saliti a dieci i paesi Ue che si sono uniti all’iniziativa franco-tedesca della vigilia, per accogliere 406 minori non accompagnati, già evacuati e trasferiti dall’isola nella Grecia continentale: oltre a Francia e Germania, che ne accoglieranno 100-150 ciascuno, l’Olanda si è detta disposta ad accogliere un centinaio di persone (il 50% minorenni), mentre Finlandia, Belgio, Lussemburgo, Slovenia, Croazia e Portogallo hanno dato la loro disponibilità. A questa lista si aggiunge la Svizzera (mercoledì la Norvegia aveva proposto di accogliere una cinquantina di persone).

I 10 PAESI UE comprendono gli 8 che già partecipano al programma a favore dei minorenni rifugiati, sulla carta destinato a 2mila persone, nei fatti realizzato soltanto per 640 finora. Altri paesi si limitano ad aiuti materiali: la Polonia ha annunciato ieri l’invio di 156 unità di abitazione attraverso il meccanismo di protezione civile della Ue. La commissione ha deciso ieri di inviare aiuti supplementari alla Grecia, rafforzando un programma lanciato nel marzo scorso, a cui hanno risposto 17 paesi, e che si è tradotto nell’invio di materiale come tende, materassi, coperte. Inoltre, da aprile Austria, Repubblica ceca, Danimarca, Olanda e Francia hanno inviato a Lesbo 4 container di medicine e una postazione medica mobile. Molti paesi rifiutano l’accoglienza e optano per l’aiuto economico, per ragioni di politica interna. È il caso dell’Austria, per esempio, dove in queste ore il dramma di Moria sta creando forti tensioni nell’alleanza di governo tra i popolari di Sebastian Kurz e i Verdi.

La Ue manda materiale, ma a Lesbo non lo vogliono, la popolazione locale cerca di bloccare la costruzione di un nuovo campo a qualche chilometro dal porto di Mytilene, la situazione è sempre più violenta. L’obiettivo dei poteri locali di Lesbo e di molti abitanti è impedire che i rifugiati possano restare nell’isola: da 5 anni conviviamo con questa situazione, dicono, adesso tocca ad altri nella Ue far fronte alla presenza dei migranti.

Il commissario alle Migrazioni, il greco Margaritis Schinas, ha sottolineato ieri che «Moria è un richiamo severo a tutti i paesi membri, abbiamo bisogno di solidarietà nelle politiche migratorie». Ha l’ardire di dirlo anche il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, accusato di aver intasato e bloccato i rifugiati nel campo di Moria e di sbandierare “legge e ordine” inumani: «L’Europa deve passare dalle parole agli atti di solidarietà». Per Angela Merkel, la «catastrofe» di Moria può permettere «infine» di arrivare a una politica comune delle migrazioni, dopo «un primo passo» con l’iniziativa franco-tedesca «a cui altri dovranno seguire».

CINQUE ANNI DOPO la crisi dei rifugiati dalla Siria, dopo anni di blocco della riforma del sistema di Dublino II, dopo aver più volte rimandato la scadenza, a fine mese la Commissione dovrebbe presentare un nuovo Patto per la migrazione e l’asilo, per un coordinamento delle politiche e un diritto d’asilo comune.

Nella Ue la pressione migratoria è diminuita drasticamente con la crisi del Covid, anche se i ritorni forzati nei paesi d’origine sono stati praticamente bloccati.

Nell’Unione ci sono oggi 878mila procedure in corso in seguito a domande d’asilo. La Brexit aprirà un altro fronte. Dal 1° gennaio 2021 la Gran Bretagna non sarà più tenuta a rispettare le regole di Dublino e si apre quindi un baratro, in particolare con la Francia, che diventerà “paese periferico”. La questione dei migranti non è menzionata nell’accordo di divorzio tra Ue e Gran Bretagna, ma Londra, che vuole riprendere il controllo delle proprie frontiere, ha già fatto sapere che estenderà la politica dei charter, per respingere e rimandare nella Ue i clandestini arrestati sul suo territorio. Quest’anno, 5.400 persone sono riuscite a passare la Manica sulle small boats (ieri una cinquantina di migranti sono stati soccorsi dai gendarmi su due imbarcazioni di fortuna e riportai in Francia). Nel 2019, 24mila erano state intercettate su camion in coda per il tunnel sotto la Manica.