Promozione ed educazione alla mobilità sostenibile, trasporti combinati bici-treno e un sistema di bike sharing connesso ad altri servizi di trasporto pubblico. La pianificazione di infrastrutture efficienti (reti ciclabili e stazioni bici) e una serie di misure capaci di affermare il primato della bicicletta nel codice stradale (ne è un esempio il contromano) sono le ricette, finora vincenti, messe in atto da quelle realtà cosiddette virtuose.

Vero motore della promozione di pratiche innovatrici è la città. Poco o nulla, in termini di programmazione e di sostegno all’investimento, viene dai singoli Stati nazionali, come debole è l’iniziativa delle Istituzioni comunitarie ed in particolare della Commissione europea, la cui azione è spesso contraddittoria. Fatta eccezione per Eurovelo (la rete cicloturistica europea), poche e poco incisive sono le iniziative, spesso ridotte ad un elenco di benefici (oramai noti a tutti) dell’uso della bicicletta.

In questo contesto sono i governi cittadini, passando per le reti associative e le organizzazioni informali, a farsi carico di una sfida a cui oramai nessun contesto urbano può sottrarsi. Le buone pratiche (il plurale è d’obbligo) sono all’iniziativa delle singole città le quali, oltrepassando la mediazione degli Stati, hanno creato una rete capace di condividere politiche ed una serie di iniziative a sostegno di nuovi modelli di mobilità urbana.

FRA LE CITTÀ INNOVATRICI ci sono naturalmente Copenaghen e Amsterdam. La prima ha fra le percentuali più alte d’utilizzo della bicicletta, oltre il 50% degli spostamenti quotidiani, a dispetto di un clima decisamente poco clemente con i ciclisti, dove una famiglia su quattro possiede una bici-cargo. La capitale danese ha saputo programmare la promozione della bicicletta mettendo sul piatto circa 150 milioni di euro nell’arco di un decennio. Inoltre una linea ferroviaria, la prima dedicata interamente al trasposto di ciclisti, collegherà la capitale danese con la vicina città svedese di Malmö, posta nella sponda opposta del mar Baltico.

AMSTERDAM È FRA LE PRIME ad aver sperimentato i semafori verdi e la posizioni d’attesa avanzata per i ciclisti, rispetto alle automobili. La capitale olandese, dove la rete ciclabile raggiunge i 500 km, ha iniziato ad investire nella mobilità sostenibile agli inizi degli anni ’70 con una politica tesa a disincentivare l’uso privato dell’automobile, vantando oggi una percentuale d’utilizzo della bicicletta che sfiora il 60%. L’Olanda inoltre è l’iniziatrice delle fietsstraat, una via urbana in cui la velocità massima consentita è di 30 km orari (le famose «zone 30») con priorità assoluta alla bicicletta. Le biciclette possono viaggiare una accanto all’altra (condotta vietata nella maggior parte dei codici della strada), oppure occupare il centro della carreggiata con divieto di sorpasso da parte delle automobili. Un’iniziativa che oggi è in fase di sperimentazione anche nel vicino Belgio, dove è in fase di test la svolta a destra per i ciclisti con semaforo rosso. Nella capitale Bruxelles, dove il contromano per i ciclisti è praticamente autorizzato sulla quasi totalità delle vie urbane (escluse quelle a scorrimento veloce), i ciclisti possono (quando indicato) svoltare a destra con semaforo rosso, rispettando la precedenza per i veicoli che hanno semaforo verde.

IN MOLTE CITTÀ EUROPEE sono state realizzate innovative strutture per il parcheggio delle biciclette in corrispondenza della stazioni ferroviarie. Sempre in Olanda, a Utrecht, è stata realizzata una stazione di parcheggio bici da 33 mila posti. Il successo delle città, cosiddette, virtuose risiede nella convinzione che la promozione della mobilità sostenibile non possa ridursi unicamente alla promozione esclusiva della bicicletta, ma attraverso una rete di trasporti capace di favorire l’utilizzo di diverse modalità di spostamento per un unico tragitto. Parliamo della cosiddetta intermodalità, baluardo della promozione della mobilità alternativa all’automobile, ovvero della possibilità di usufruire di diversi servizi, magari con un unico abbonamento, quali bike-sharing trasporto ferroviario metropolitano o extra urbano, car sharing etc. Magari favorendo la realizzazione di stazioni di sosta per automobili nella periferia, collegati al centro cittadino dalla rete di trasporto pubblico. É questo il caso di Strasburgo, in Francia, dove le politiche di sostegno alla mobilità sostenibile hanno favorito l’utilizzo della bicicletta, oggi intorno al 16%. Una soglia questa estremamente significativa, poiché l’utilizzo della bicicletta sopra il 15% crea una massa critica di ciclisti, tale da ridurre drasticamente il numero degli incidenti. Un argomento ben noto agli esperti del settore, ben consapevoli del peso del sentimento di sicurezza per favorire l’uso della bicicletta. Una misura che deve essere accompagnata da investimenti nel settore dell’educazione alla mobilità sostenibile, un ambito che in molte città europee ha dato vita ad un piccolo indotto capace di creare occupazione.

È NELLA CAPACITÀ DI PROGRAMMARE gli investimenti e di intraprendere politiche coraggiose (spesso impopolari) che risiede il successo di questa battaglia di civiltà, possibile anche nei paesi mediterranei. Nella città di Barcellona è stata messo a punto uno dei sistemi di bike-sharing fra i più efficienti d’Europa. Mentre a Siviglia un sistema intermodale bici-bus ha permesso di raggiungere la soglia d’utilizzo della bicicletta del 15% nell’arco di pochi anni.

Ricette vincenti che non possono fare a meno del sostegno dei cittadini, che hanno il diritto-dovere di chiedere l’introduzione di buone pratiche. È il caso di Berlino dove è stato promosso un referendum cittadino a sostegno della mobilità sostenibile, a cui ha fatto seguito la più grande manifestazione di ciclisti d’Europa, con oltre 100 mila manifestanti, rigorosamente in bicicletta.