In occasione della Giornata internazionale delle donne, il Servizio di ricerca del Parlamento europeo ha pubblicato una relazione con significati dati statistici che descrivono la condizione delle donne europee. I dati saranno al centro, il 13 e 14 marzo, del dibattito sulla proposta di risoluzione Equality between women and men in the European Union in 2014-2015, promossa dal Comitato sui Diritti delle donne e uguaglianza di genere (Femm). Nella relazione s’invita il governo dell’Ue a mettere in cima alla propria agenda politica la parità di genere, principalmente promuovendo la rappresentanza femminile a tutti i livelli decisionali e colmando il divario retributivo. Recentemente il Parlamento Ue ha adottato alcune risoluzioni specifiche riguardanti le donne, sul bilanciamento tra lavoro e vita privata (2016), sul divario retributivo di genere (2015) e quello nel settore digitale (2016), ma la strada è ancora lunga.

MERCATO DEL LAVORO

Le dinamiche di genere da sempre modellano i mercati di lavoro europei assieme ai programmi di protezione sociale, che talvolta ostacolano l’accesso al mercato del lavoro o mostrano come il tasso di partecipazione sia inversamente proporzionale al tasso di fertilità – pari a 1,5 figli per donna in Ue. Una situazione che si è acuita in questi tempi di crisi economica e finanziaria.

Negli ultimi due decenni c’è stato un continuo aumento della forza lavoro femminile: a oggi le donne lavoratrici in età compresa tra i 20 i 64 anni nell’Ue sono in media il 64,3% del loro totale. Ma il quadro si complica quando andiamo a scomporre per livelli educativi. Tra le donne con un’educazione di livello primario solo il 42,8% risulta impiegato: il Portogallo presenta il più alto numero (42%), mentre la Lituania il più basso (3%).

In media nove donne su 100 dell’Unione europea (9,3%) sono senza lavoro con grande variabilità tra gli Stati membri, dal 28,9% della Grecia al 4,2% della Germania. Pari a circa 2 milioni si attestano le giovani, tra 15 e 24 anni, europee disoccupate e, nella stessa fascia di età, circa il 12,3% in media nell’Ue sono neet, ovvero persone inattive nel mondo del lavoro, dell’educazione o della formazione.

La Commissione europea ha analizzato 613 delle più grandi società quotate dell’Ue: soltanto il 5% delle donne ricoprono il ruolo di chief executive officer (ceo), il 7% di presidente e circa il 23% sono membri del cda. Il 6,3% delle donne e l’8% degli uomini sono assunti come scienziati e ingeneri: in 10 Stati membri, il tasso di occupazione delle donne in questi settori è superiore a quello degli uomini. Al contrario, la Finlandia ha molti più uomini (14,9%) rispetto alle donne (6,5%) che lavorano in questi ambiti.

Inoltre, le donne e le ragazze sono più propense a impegnarsi in lavoro non retribuito, come ad esempio la cura, la cucina e la pulizia. Globalmente, le donne affermano di spendere il 19% del loro tempo in attività non retribuite, mentre gli uomini riferiscono di destinarne non più del 8%.

RISORSE ECONOMICHE

Il gender gap dei guadagni complessivi è al 39,7% vale a dire che per ogni 100 euro guadagnati da un uomo, una donna ne guadagna 60, anche se con una certa variabilità all’interno degli Stati membri. La percentuale spazia dal 19,2% in Lituania al 47,5% nei Paesi Bassi. I salari delle donne tendono anche a diminuire quando hanno un figlio, mentre al contrario aumentano i salari dei padri, quasi a conferma di un effetto penalizzante della maternità.

È al 40% pure il gender pension gap, che cattura le disuguaglianze di reddito accumulate dalle donne dopo i 65 anni. In tutti gli Stati membri la pensione media della donna risulta inferiore a quello degli uomini, lasciando così le donne di età superiore ai 65 sostanzialmente a più alto il rischio di povertà rispetto agli uomini.

Secondo l’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere (Eige), l’accesso delle donne dell’Ue alle risorse economiche e finanziarie rimane inferiore a quello degli uomini: da un punteggio di 68,9/100 nel 2005 si scende addirittura a 67,8/100 nel 2012.

A livello dell’Ue, gli uomini (62%) tendono a risparmiare più soldi rispetto alle donne (59%): i divari più grandi tra generi, misurati in punti percentuali, sono in Spagna (16), Italia (15) e Polonia (12). Gli uomini tendono (38%) a prendere denaro in prestito più delle donne (34,9%), come confermato dall’evidenza in 18 Stati membri. Questa tendenza trova una sua conferma anche a livello globale: come riportato da un recente report delle Nazioni Unite del 2016, globalmente il 57% delle donne hanno un conto finanziario contro il 64% degli uomini.

Peggiora il settore del risparmio e del credito, soprattutto per chi versa in condizioni di estrema povertà (meno di due dollari al giorno): le donne hanno il 28% in meno di probabilità rispetto agli uomini di avere un conto bancario formale, a causa della loro minore credibilità presso banche e istituzioni finanziarie.

LEADERSHIP

Per gran parte della storia, le donne sono state anche escluse da ruoli di comando nella maggior parte delle società. I movimenti femministi del XX secolo hanno messo in risalto l’assenza delle donne dalle arene tradizionali di potere, potendo così cominciare a emergere. Tuttavia sono ancora sotto rappresentate nelle posizioni di leadership.

Globalmente i capi di Stato e di Governo donna sono ancora una minoranza, anche se sono aumentate da 12 a 22 negli ultimi 20 anni e soltanto il 18% dei ministri nominati sono donne, anche se a esse di solito sono assegnati portafogli relativi alle questioni sociali. A oggi nell’Unione europea, solo il 37% dei membri del Parlamento europeo è donna, e il 27% dei ministri e il 26% dei sottosegretari tra gli Stati membri dell’Ue.

Le donne giocano un ruolo centrale nella mediazione, pacificazione e giustizia di transizione. I dati provenienti da 182 accordi di pace firmati tra il 1989 e il 2011 mostrano che, quando sono coinvolte le donne nel processo di pace, gli accordi di pace hanno il 20% in più di probabilità di durare almeno 2 anni e del 35% di durare almeno 15 anni.

EDUCAZIONE E SALUTE

Recentemente l’Unesco ha ricordato che ancora a 60 milioni di ragazze nel mondo viene negata l’educazione: per questo centrale risulta lavorare sull’accesso all’educazione, sanità, mercato del lavoro e parità di pagamento. Secondo le Nazioni Unite il diritto alla salute sessuale e riproduttiva (Shr) non è soltanto parte integrante del diritto alla salute: essa è pure legata al godimento di molti altri diritti umani. I dati dimostrano che fornire alle bambine e alle ragazze un’adeguata formazione educativa aiuta a rompere il ciclo della povertà per un effetto a catena di opportunità che influenza le generazioni a venire.

Le donne istruite hanno meno probabilità di sposarsi in età minore e contro la loro volontà, meno probabilità di morire di parto, maggiori probabilità di crescere e allevare bambini sani e sono più propense a mandare i figli a scuola.

Più alto è il tasso di alfabetizzazione, più basso il divario educativo tra i maschi e femmine. Soltanto 20 Stati membri dell’Ue hanno l’educazione alla shr come insegnamento obbligatorio e molte donne ancora non hanno un accesso adeguato alla contraccezione.

Una recente ricerca mostra che in Europa il gender wealth gap, ovvero il divario nella ricchezza – dati i beni posseduti, d’investimento e di risparmio – sta diventando più importante del reddito quale fattore determinante della diseguaglianza.

La politica e le istituzioni possono attenuare questa disuguaglianza, colmando il divario retributivo e aiutando le donne a costruire ricchezza da investire su stesse e il futuro dei figli, contro la disoccupazione e le emergenze finanziarie.

*Ricercatrice di GlobalStat dell’European University Institute (Eui) di Firenze che insieme all’European Parliament Research Service (Eprs) ha elaborato il contributo dal titolo Empowering women in the Eu and beyond, da cui provengono i dati analizzati.