Già Platone, per esempio nel Fedro e nel Simposio, riteneva che il camminare pensoso (passeggiando), eguagliandolo al lavoro mentale, fosse una saggia pratica da coltivare, quanto mai feconda per l’educazione a quel ragionar di sé che si ritroverà poi in Sant’Agostino e nelle pagine della Vita Nova di Dante. In cammino possiamo così assomigliare ai filosofi socratici riscoprendo il piacere di vagare dialogando di cose non futili.
Oppure peregrinanti audaci: ben decisi a raggiungere quei luoghi santi o leggendari, le cui mete raggiunte avranno il potere di educarci al dovere di rafforzare e testimoniare la nostra fede.

IL CAMMINARE, nella sua fisicità e concretezza, come già ricordato, ci mette alla prova in tutti i sensi. Scoprendo sentieri, reali e simbolici, tracciandone di nuovi e soltanto nostri. Avanzando verso quel che non sempre si staglia nitido all’orizzonte. Finché potremo vivere la sensazione di camminare (anche nella im-mobilità: con la fantasia, rievocando…), la strada sarà ben lungi dal potersi ritenere conclusa. Per adempiere al compito (interminabile) – ci dice Enzo Bianchi – di «umanizzarsi». Per Gabriel Marcel, del resto, l’uomo è viator: il suo destino è quello del viandante, non del passeggero o del frettoloso passante, che guardano distaccati lo scorrere e il mutare dei paesaggi.

PERTANTO IL RAPPORTO con le cose e la natura risveglia in noi il bisogno conoscitivo originario che ci anima anche sul piano mistico: le tradizioni benedettine, francescane, camaldolesi, fino a padre de Foucauld, e oggi i silenti affiliati alla congregazione Goum (dei «rialzatisi»), ce lo hanno insegnato. Camminando, guardandoci intorno, raccogliendo e rigirando l’oggetto più semplice tra le dita gli diamo forse la parola, diceva Rainer Maria Rilke, ma impariamo anche ad accettare le cose in sé, a riconoscerle e a rispettarle, ad affrontarle o a ripiegarci su di esse. Vivendo il camminare per il piacere poetico e filosofico di accogliere tali richiami antichi, lo si esercita in un altro spirito: esso inoltre educa ad altre percezioni del tempo, alla essenzialità, educa a scrutare tutto quello che viaggiando in altro modo non vediamo.

La filosofia del camminare dunque non nasce leggendo i libri, si scopre in cammino. Già nell’Ottocento Søren Kierkegaard, antesignano della corrente esistenzialistica cristiana, pregava che gli fosse concesso di: «Non perdere la voglia di camminare: io camminando ogni giorno raggiungo uno stato di benessere e mi lascio alle spalle ogni malanno; i pensieri migliori li ho avuti mentre camminavo, e non conosco pensiero così gravoso da non poter essere lasciato alle spalle con una camminata». Come già aveva sostenuto Jean-Jacques Rousseau e come di lì a poco avrebbe affermato l’americano Henry David Thoreau con il suo celebre detto: «Il camminare è l’avventura della mia giornata».

ANCHE HERMANN HESSE, emulo della tradizione che Wolfgang Goethe aveva inaugurato nel tardo Settecento, evocava queste forme del sentire e del meditare quando descrisse sul suo diario di viaggio, e non accadde una volta sola, quali fossero gli stati di grazia provati lungo il cammino. Quando: «Le antiche piacevoli sensazioni che accompagnavano il vagabondare si avvicendavano nella mia anima, mutevoli e varie come ombre di una nuvola: sentimento di tristezza per le cose perdute, per la brevità della vita, e la varietà del mondo».

Impressioni e parole le precedenti che citano, prima ancora dei romantici, il pensiero stoico di una grande figura della tarda latinità quale fu quella di Lucio Anneo Seneca. Il quale, già nel I secolo dopo Cristo, nell’opera De brevitate vitae raccomandava ai suoi cari amici filosofi di aver cura di sé (o meglio di occuparsi di sé: questo il senso autentico) non solo pensando concettualmente. Bensì a dedicarsi al raccoglimento interiore ispirato dal passeggiare nella natura «in quanto occupazione più tranquilla di ogni altra». Ma, soprattutto, perché il camminare risveglia le nostre memorie sulle quali val la pena sostare rintracciando i passi già compiuti: secondo giustizia o, viceversa, sprecati per la troppa fretta e irriflessività.

UN’ANTICIPAZIONE DAL VOLUME «ALTRI ORIZZONTI»

In libreria dal 19 aprile «Altri orizzonti. Camminare, conoscere, scoprire», il nuovo titolo della serie dei libri Dialoghi di Pistoia (Utet, pp. 112, euro 14). Con testi di Marco Aime, Duccio Demetrio, Adriano Favole, Vera Gheno, Marco Vannini e Alessandro Vanoli. Dal 27 al 29 maggio la nuova edizione dei «Dialoghi» sarà dedicata a: «Narrare humanum est».