Aaron, Nestor, Benjamin e Rafiki sono amici, studenti all’università di Bangui, la capitale della Repubblica Centrafricana, vogliono diplomarsi in economia nella sfida di decidere il loro futuro. O almeno ci provano perché studiare nel loro Paese è complicato specie senza soldi e protezioni potenti il rischio è di essere stritolati da un sistema corrotto di cui anche l’amministrazione scolastica, professori compresi (peraltro in numero molto basso) è complice. Può accadere che i voti vengano dispersi o che si deve pagare per il diploma, e una volta ottenuto anche lì le prospettive di lavoro rimangono scarse. Ammassati nelle loro stanzette di un «campus» fatiscente dove si mischiano parole sul futuro, canzoni di rabbia giovane contro quelle generazioni che continuano a occupare ogni posto e potere, amori, disastri, cambi di direzione obbligati, lezioni in aule sovraffollate, i quattro ragazzi raccontano un desiderio di cambiamento forte, che non si arrende pure se la vita prende piste inaspettate.

UNA RIVENDICAZIONE la loro profondamente politica narrata con la leggerezza spensierata malgrado tutto dei vent’anni, e la determinazione di chi cerca una parola resistente per reinventare il proprio spazio nel mondo. Nous, étudiants! film d’esordio di Rafiki Farala, musicista e filmmaker nasce dunque da questa doppia scommessa: fare un cinema capace di confrontarsi con la propria realtà e inventare una forma cinematografica libera, col respiro modulato sull’energia dei suoi protagonisti, sui loro sogni irriverenti e sulla consapevolezza di una condizione che impone codici e continui equilibrismi. E al tempo stesso va al di là dei confini: non dicono le parole scandite nelle canzoni di Rafiki di un sentimento (e uno stato) che riguarda tanti giovani nel mondo oggi?

«Ci hanno raccontato che la gioventù è il futuro, ma ci hanno ingannati, tutto è chiuso, tutto è fermo» tra precariato, mancanza di ricambio generazionale, marginalità, molestie dei professori alle studentesse che il contesto amplifica, rende ostacoli enormi, ma che appunto sono comuni a tanti altri ragazze e ragazzi nel mondo. Nous, étudiants! – presentato nel concorso internazionale – nasce all’interno di un percorso di formazione istituito a Bangui dagli Ateliers Varan, i cui principali artefici sono Boris Lojkine e Daniele Incalcaterra, anche co-produttori, da cui era arrivato due anni fa il magnifico Makongo di Elvis Saibin Ngaibino (pure lui produttore di Rafiki, e la casa di produzione prende il nome proprio dal suo film) dialogando con la costellazione della retrospettiva dedicata al documentario in Africa, che in questi giorni ha intrecciato le «lezioni» delle nuove onde degli scorsi decenni – come Jean Marie Teno – e il lavoro dei filmmaker africani giovani di oggi nel segno di una indipendenza degli sguardi e di una continua ricerca di una cifra cinematografica.

Rafiki ne è pienamente espressione, arrivato al cinema grazie ai Varan, – è nato nella Repubblica del Congo ma cresciuto in Centrafrica – è stato selezionato tra 175 aspiranti allievi e ha poi realizzato il suo primo film di scuola, un cortometraggio, Mbi Na Mo (Toi et moi), la storia di una coppia giovane, lui autista di mototaxi con in testa il cinema americano e il desiderio di una vita nel lusso che viene interrotto da un incidente.

RACCONTANDO un mondo che conosce alla prima persona, i suoi amici, se stesso, la sua università, il suo punto di vista è fluido, attento ai protagonisti che come lui nella distanza narrativa si fanno personaggi assumendo una verità di sé e delle proprie esistenze. Quelle giornate di un anno tra studi, ragazze, feste, delusioni per una bocciatura, in cui si discute di Adam Smith e di capitalismo, di come conquistare nuovi mezzi di produzione, e si diventa padri e madri in modo inaspettato, attraversa i generi del cinema senza perdere mai di vista la materia del suo mondo. La vita è lì, si afferma e si rivela in una narrazione che respinge i luoghi comuni sull’Africa, l’immagine di miseria e di rassegnazione anche se vivere è una battaglia per tutti.

NESTOR, che della vicenda è un po’ il centro, il solo che non riesce a diplomarsi, deve combattere coi poliziotti per continuare a vendere al mercato e guadagnare così qualche soldo. Aaron con due figlie, due gemelle, combatte invece per coltivare il suo campo, Benjamin ottiene il posto di guardiano – che mortifica certamente le sue aspirazioni e la fatica dei suoi studi. I rapporti mutano nel corso dell’anno accademico e dopo, mentre il film continua e riposiziona le proprie geometrie di relazione. Cosa significa essere dentro e fuori l’inquadratura, essere personaggio e insieme regista? «Mi continui a riprendere perché siamo amici o perché ti serve?» chiede a un certo punto Nestor a Rafiki, interrogando in questo il senso stesso del gesto del filmare insieme al suo stato di personaggio vero.

Rafiki dimostra anche qui che il suo lavoro è col cinema, è quello lo spazio a cui rimanda le sue storie. E lo fa con dolcezza, sensualità, umorismo, nel modo in cui riprende i corpi, con intimità e pudore, mettendo in gioco anche se stesso a ogni passaggio tra emozioni, idee, fratture che accadono e che sono ugualmente parte del vivere. Quest’Africa che ci mostra è quella abitata da lui e dai suoi amici, un paesaggio mai astratto di contraddizioni violente e povertà, che soprattutto ha una voce, anzi più voci, quelle dei giovani che rivendicano una presenza, e prima ancora un’immagine (un immaginario) in cui riconoscersi per inventare un futuro.