Il Presidente del Senato che dice che in Via Rasella c’era solo una banda musicale a passeggio – si giustificherà con l’argomento fortissimo che questa cosa si sentiva dire. Il messaggio al Cda del manager di una società pubblica che fa un copia-incolla del discorso del duce del 3 gennaio ‘25. Il vicepresidente della Camera propone di proibire l’uso delle parole straniere. Il ministro dell’istruzione dice che le umiliazioni dei giovani a scuola sono un fatto educativo, e ci vuole il liceo nazionale, dio patria e famiglia.

Sembra di rivedere Il dottor Stranamore, con lo scienziato ex nazista a cui, più forte di lui, ogni tanto parte il braccio, teso nel saluto.
Invece è il telegiornale.
In questo mondo ridicolo e tragico ogni tanto ci si incontra fra reduci delle varie sinistre vissute e perdute. Siamo un po’ orfani di una qualche appartenenza, ma la crisi di certezze e prospettive fa crescere una specie di fratellanza, nella comune condizione di ricerca. Perché poi non si riesce a smettere di provare, di provare ancora.

Tuttavia qualcosa di fondo non va. I discorsi si avvitano su se stessi. Si parla a un mondo che sembra irraggiungibile: su un’altra lunghezza d’onda, non risponde.
Come essere di fronte a un amico depresso e provare a tirarlo su, esaltando il valore di quello che può vivere, della vita fuori dal baratro in cui è paralizzato. Oppure con una ragazza anoressica, spiegare il carattere autodistruttivo delle sue scelte. Ci provi sempre, non serve mai.

Non serve ricorrere al discorso razionale quando la razionalità è fuori gioco, o gioca contro. Affidarsi a un calcolo dei rischi quando il coraggio di rischiare è la scelta.
Sarebbe necessario spostarsi su un altro livello di esperienze. Vissute, non ascoltate. Qualcosa che incida sul desiderio di vita.

Ecco, mi pare a volte che quel che è rimasto della sinistra si avviti in un cortocircuito simile. Proponiamo dei programmi politici quando la nostra grammatica della politica è del tutto fuori squadra. Quando intorno ne è mutato il paradigma. Se non c’è un orizzonte comune di liberazione collettiva, cioè se non è credibile, tutti i programmi crollano, insieme ai partiti di un tempo, come ha scritto Fabrizio Tonello. Ognuno torma al suo “particulare”. Allora funzionano anche le formule patetiche, prima gli italiani, le sacre frontiere della patria.

La redazione consiglia:
Francia e Italia, piazze piene, piazze vuote
Quando qualcosa si muove – e qualcosa si muove, malgrado noi – agisce su singole questioni, ma non sembra cercare sintesi.
Occorrerebbe spostarsi su un altro piano, metapolitico o sotto politico; essere all’altezza delle trasformazioni, misurarsi con la crisi delle grandi sintesi.
Le battaglie della ex Gkn non sono un tradizionale conflitto da avanguardia sindacale, hanno saputo creare un sentimento di comunità, hanno coinvolto musicisti, scrittori e artisti, hanno mutuato un inno dalla curva dello stadio e coinvolto l’intera città.

i ragazzi e soprattutto le ragazze del Friday for future portano in piazza il loro desiderio di vita nel pianeta, di amore e anche di piacere.
Il femminismo ha cambiato molto del mondo a partire dalla messa in discussioni di relazioni politiche più profonde di quelle del conflitto elettorale e anche della lotta di classe.

L’idea della moltitudine di Negri e Hart era un po’ immaginaria e non mi pare si sia realizzata nella forma di avversario del capitale dotato della stessa vastità e radicalità del capitale. Però dalla polverizzazione della società, nella solitudine globale, è cresciuta anche una forma di individuazione e personalizzazione che certo non fa più sentire militanti di un partito costruito a somiglianza dello Stato, in lotta per il potere; quella era un militanza fondata sul sacrificio della propria vita personale. E tuttavia questa singolarità non cancella il bisogno di una dimensione comune dell’esistenza. La ricerca di una felicità politica, dunque conflittuale – non solo di consumo individualistico.

Allora la pratica politica potrebbe ripartire dal creare luoghi decenti, gentili, in cui sia possibile portare l’intera propria vita. E non ci sono più distanze fra rivendicazione di diritti civili e sociali: si ha diritto alla propria creatività, a inventarsi liberamente la vita – ma senza relazioni sociali non si è liberi, si è soli. In guerra per vincere.

Forse su questo si potrebbe ancora lavorare, avrebbe senso provare ancora. Forse ci farebbe incontrare ragazze e ragazzi. Forse ci darebbe anche un po’ di felicità. Che non sarebbe male.