Il Parlamento ha altri sei mesi di tempo per terminare l’iter della legge – attualmente al Senato – che dovrebbe revisionare la disciplina attuale sui benefici penitenziari negati a chi commette reati ostativi, tenendo però ben conto dei rilievi di incostituzionalità messi nero su bianco un anno fa nell’ordinanza n. 97 del 2021. Ieri, alla scadenza dell’anno di tempo concesso al legislatore per rimediare alla incompatibilità con la Carta di alcune norme vigenti sull’ordinamento penitenziario e in tema di lotta alla criminalità organizzata, soprattutto per quanto riguarda l’ergastolo ostativo, la Corte costituzionale ha accolto la richiesta dell’avvocatura dello Stato e ha «disposto il rinvio della trattazione all’udienza pubblica dell’8 novembre 2022». Non oltre però, ha fatto capire il presidente dei giudici delle leggi, Giuliano Amato, leggendo l’ordinanza dopo la camera di consiglio: «Per il momento – ha sottolineato – si conclude così il nostro lavoro. Per il momento».

Il 15 aprile 2021, con l’allora presidente Giancarlo Coraggio e con lo stesso relatore, il giudice Nicolò Zanon, la Consulta rispose ai quesiti di costituzionalità sollevati dalla prima sezione penale della corte di Cassazione sul caso di un uomo condannato all’ergastolo per reati di mafia a cui era stato negata la liberazione condizionale perché secondo il tribunale di Sorveglianza non era «mai stato registrato un suo atteggiamento collaborativo» con la giustizia.

Con lo stesso orientamento di alcuni mesi prima, quando nell’ottobre 2019 la Corte aveva stabilito l’incostituzionalità dell’automatismo con il quale si vietano i permessi premio agli ergastolani mafiosi non pentiti, la Consulta un anno fa ha rilevato che anche la disciplina ostativa che fa «della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà», è in contrasto con i dettami costituzionali italiani (articoli 3 e 27) e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Nel 2021 però i giudici costituzionali decisero che un loro intervento immediato avrebbe comportato «effetti disarmonici sulla complessiva disciplina in esame», e rinviarono l’udienza di un anno. Soprattutto perché, come ribadito più volte (nei casi precedenti dell’aiuto al suicidio e della diffamazione a mezzo stampa, quando la Corte intervenne dopo un anno di tempo concesso invano al Parlamento), e come ha sottolineato anche ieri Amato, «al legislatore compete in prima battuta una complessiva e ponderata normativa della materia», questa volta «alla luce dei rilievi svolti nell’ordinanza n. 97 del 2021».

Al momento però il ddl licenziato dalla Camera e trasmesso al Senato l’1 aprile scorso, è ancora all’esame della commissione Giustizia di Palazzo Madama in sede referente. La richiesta di un ulteriore rinvio dell’udienza è arrivata alla Consulta per bocca dell’avvocato dello Stato, Ettore Figliolia, e da parte del presidente della commissione Giustizia, il leghista Andrea Ostellari, che, «nella seduta del 4 maggio 2022 – ha riferito Amato – ha auspicato un nuovo rinvio dell’odierna udienza “per consentire la prosecuzione e la conclusione dei lavori di Commissione”».

E allora, scrivono i giudici nell’ordinanza di ieri, «proprio in considerazione dello stato di avanzamento dell’iter di formazione della legge, appare necessario un ulteriore rinvio dell’udienza, per consentire al Parlamento di completare i propri lavori». Ma, viene puntualizzato, «anche alla luce delle osservazioni della parte costituita (essendo il ricorrente ancora recluso, ndr), tale ulteriore rinvio deve essere concesso in tempi contenuti». Sei mesi, per l’appunto. Non di più.

Eppure la soluzione auspicata dalla Consulta non sembra neppure all’orizzonte, soprattutto perché la legge licenziata dalla Camera – che dovrà passare per l’Aula del Senato e chissà se anche di nuovo in seconda lettura – è ben distante dai dettami della Consulta. Secondo il ddl, infatti, i benefici di legge sono preclusi al detenuto, non solo se non vi è stata collaborazione con la giustizia, ma anche se essa è ritenuta «collaborazione inutile» o «irrilevante».

E tra i reati ostativi sono stati aggiunti anche quelli contro la pubblica amministrazione, oltre ai reati di mafia, terrorismo, eversione, schiavitù, eccetera. Gli ergastolani, poi, per presentare istanza di liberazione condizionale dovrebbero aspettare di scontare trent’anni di carcere, e non più solo i 26 anni previsti nella normativa “ammonita” dalla Consulta.