Nel loro ultimo vertice, nel marzo del 2020, avevano discusso dello status della provincia siriana di Idlib in parte occupata dalla Turchia e del cessate il fuoco seguito allo scontro militare tra Ankara e Damasco. E oggi a Sochi, un anno e mezzo dopo, Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan torneranno a parlare di Idlib. Ma non solo. Partner e avversari allo stesso tempo, i due presidenti avranno in mano anche i file dell’Afghanistan, della Libia, della posizione turca sull’Ucraina – all’Onu Erdogan ha reiterato il suo rifiuto dell’annessione della Crimea da parte della Russia – e delle ulteriori batterie antiaeree S 400 russe che la Turchia (parte della Nato) intende acquisire incurante degli avvertimenti minacciosi degli Stati uniti. Il completo fallimento del recente incontro del leader turco con Joe Biden e il secco no degli Stati uniti alla fornitura ad Ankara dei caccia F-35 sono le motivazioni dietro l’improvvisa accelerazione dell’acquisto di altre batterie S 400.

Il tema centrale comunque sarà la Siria, hanno tenuto a far sapere le due parti. Negli ultimi giorni si sono intensificati i raid aerei russi e governativi siriani contro postazioni di milizie jihadiste sostenute da Ankara nelle zone di Idlib, Afrin e in altre aree. E i turchi hanno letto la visita qualche giorno fa del presidente siriano Bashar Assad a Mosca come un segnale di una prossima operazione militare russo-siriana per la riconquista di tutta Idlib. Erdogan, perciò, vuole da Putin un nuovo impegno nei confronti della tregua negoziata nel 2020. Ha ribadito la sua volontà di fermare con ogni mezzo il flusso di siriani in fuga verso il suo territorio. E ha spiegato l’intervento militare turco in Siria, lungo tutto il confine dal Mediterraneo al fiume Tigri, come volto a garantire una «safe zone» a chi cerca rifugio dai raid russi e governativi siriani. Ankara invece tace sui suoi attacchi contro i curdi compiuti in gran parte dai mercenari siriani che finanzia e arma e che non ha esitato a impiegare in altri teatri di guerra, come la Libia e il conflitto tra azeri e armeni. Per Mosca e Damasco, al contrario, è proprio il sostegno turco alle formazioni jihadiste annidate a Idlib – tra quattro milioni di civili – a imporre i bombardamenti aerei e i tiri di artiglieria.

Alla luce di tali turbolenze e differenze è arduo prevedete come si concluderà il vertice a Sochi. Certo Putin proverà a mettere Erdogan di fronte alla nuova realtà che vede la Siria non più isolata e vicina alla riconciliazione con paesi arabi che pure avevano attivamente partecipato alle manovre per abbattere Bashar Assad. Damasco nelle ultime settimane ha ristabilito piene relazioni e firmato una serie di accordi con la confinante Giordania. I due paesi hanno concordato la riapertura dei collegamenti aerei diretti a partire dal 3 ottobre dopo nove anni di sospensione, al termine di una serie di incontri di alto livello avvenuti ad Amman con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione bilaterale in vari settori dell’economia. Sarà inoltre ripristinato il collegamento elettrico giordano-siriano e tecnici del regno hashemita parteciperanno alla riparazione della rete elettrica danneggiata in Siria. Altre intese riguardano il commercio, l’agricoltura, le risorse idriche e i trasporti. Damasco spera che servano ad alleviare il Caesar Act, le sanzioni statunitensi che stanno strangolando l’economia siriana con pesanti ricadute sul Libano. Oggi inoltre riapre il valico di frontiera meridionale di Jaber nonostante l’instabilità nella regione di Daraa dove è ripresa la protesta contro Damasco di una parte della popolazione.

Sviluppi che uniti alle visite segrete a Damasco di delegazioni di alcuni paesi della regione, secondo una parte della stampa locale anticipano il rientro della Siria nella Lega araba da dove fu estromessa dopo il 2011 per volontà di Arabia saudita e di altre petromonarchie. Non è passato inosservato l’incontro, a margine dei lavori dell’Assemblea Generale dell’Onu, tra il ministro degli esteri siriano Faisal Meqdad e l’omologo egiziano Sameh Shoukry. Meqdad ieri ha chiesto con forza che la Turchia e gli Stati uniti ritirino immediatamente le loro forze militari schierate nel territorio siriano. Ha anche assicurato l’impegno di Damasco a favorire il ritorno dei milioni di profughi siriani in Turchia, Libano e Giordania. Una possibilità che però l’Onu esclude – si sussurra su pressione degli Usa e dell’Ue – poiché la situazione interna del paese non sarebbe ancora stabile e sicura per il rientro dei rifugiati.

A inizio settimana il quotidiano giordano Al Dostour ha previsto che Erdogan, di fronte al rilancio dei rapporti tra vari paesi arabi e Damasco e al quadro mediorientale in fermento, sarà obbligato a rivedere la sua ostilità nei confronti di Bashar Assad e a limitare il sostegno turco ai gruppi armati jihadisti che hanno fatto di Idlib la loro roccaforte.