Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin forse non si amano particolarmente, ma sanno di avere interessi comuni. Così i rapporti tra Turchia e Russia stanno risalendo faticosamente la china dopo che nel novembre 2015 un bombardiere russo fu abbattuto dalla contraerea turca sul confine siriano.

Le relazioni tra i due paesi si interruppero bruscamente fino a che l’estate scorsa, con una svolta di 180 gradi il presidente turco trovò la forza di scusarsi per l’abbattimento dell’aereo russo e rilanciò a tutto campo i rapporti con Mosca.

Ieri a Soci, durante un incontro durato tre ore, Putin ha sentito la necessità di lisciare il pelo a Erdogan congratulandosi ancora una volta per «il suo successo nel referendum… che faciliterà ancora di più le relazioni tra i nostri paesi». Una nota apprezzata dal suo omologo turco che sta cercando di dare dignità internazionale a un voto che in gran parte del mondo è stato considerato plebiscitario e poco democratico.

Del resto i due presidenti, hanno sempre mostrato poco interesse agli appelli alla salvaguardia dei diritti democratici e civili, preferendo una politica estera pragmatica che sappia mostrare i muscoli quando è necessario e basata sulla non interferenza negli affari interni di altri paesi, soprattutto quando si tratta di Armenia, diritti delle minoranze, libertà democratiche.

Putin, nell’affermare la necessità di una soluzione al conflitto siriano ha preso in prestito un vecchio proverbio russo: «Quando si ha un dolore, se ne parla», segnalando così la necessità di tenere aperto un dialogo sulla questione con la Turchia anche se, a partire dalla situazione kurda, i punti di vista dei due restano distanti.

La Russia per bocca del ministro degli esteri Lavrov, in una intervista concessa l’altro ieri a Ria Novosti ha ricordato che la Russia intende continuare ad avere buoni rapporti con il movimento di Ocalan «al fine di impedire che gli Stati Uniti finiscano per egemonizzarlo».

Si tratta di una posizione che Erdogan già conosceva. Anche sul tema ancora caldo del bombardamento con armi chimiche di qualche settimana fa le posizioni restano diverse. Tuttavia, malgrado i due paesi abbiano diverse convinzioni sulla responsabilità del massacro, Erdogan ha sottolineato che nel colloquio con il presidente russo si sia giunti a un punto d’incontro: «Un tale barbaro attacco non deve restare impunito e oggi con il signor Putin abbiamo concluso che chi lo ha compiuto dovrà risponderne».

Buona parte del colloquio tra i due presidenti è stata però dedicata ai rapporti economici e commerciali. Dopo il riallaccio delle relazioni è ripreso il flusso dei viaggi low-cost russi verso i resort turchi, mete particolarmente ambite perché a poche ore di volo da Mosca. Un giro di affari considerevole se fino al 2015 oltre tre milioni di turisti russi visitavano ogni anno il paese della mezzaluna.

I due paesi hanno anche da anni un intenso interscambio commerciale nel settore tessile, dei metalli semi-lavorati e dei prodotti agricoli. In questo settore però permangono le difficoltà. Mentre in conferenza stampa Erdogan è tornato a chiedere a gran voce «l’abbattimento di ogni barriera doganale», il presidente russo ha nicchiato.

Su alcuni prodotti agricoli come i pomodori la Russia intende mantenere i dazi: «Quando il ciclo di investimenti che abbiamo realizzato sarà concluso potremo liberalizzare anche in questo settore», ha replicato il capo del Cremlino.

Last but not least, i due capi di Stato hanno affrontato il nodo energetico. La Turchia già oggi acquista più della metà del suo fabbisogno di gas naturale, 50 miliardi di metri cubi, dalla Russia. Prima della crisi diplomatica i due paesi avevano messo in cantiere il progetto Turkstream, una pipeline che attraverso il Mar Nero rifornirebbe di ulteriori 30 miliardi di metri cubi di gas russo la Turchia.

Ieri i due leader hanno ripreso in mano il progetto: Ankara ha fame di energia e Mosca non vede l’ora di liquidare le pipeline che attraversano l’Ucraina.