La reazione dell’Akp di fronte alla perdita di Istanbul è surreale. Ekrem Imamoglu, candidato sindaco del Chp, il partito repubblicano vincitore per un soffio delle amministrative nella capitale culturale turca, ieri denunciava la sparizione di documenti ufficiali dagli uffici del comune.

L’Akp, dice, li ha portati via: «Stiamo ricevendo notizie dalla sede del comune di Istanbul di stanze svuotate, dossier rimossi. Chiederò indietro ogni singolo kurus (un centesimo di lira)». La prima reazione: Erdogan brucia i pozzi del luogo che lo ha lanciato sulla scena nazionale nel 1994.

Seconda reazione: negare la sconfitta. In giro per la città l’Akp ha tappezzato i muri di cartelloni con il faccione del presidente e quello del suo candidato sindaco, l’ex premier Yildirim, in cui i due ringraziano Istanbul per la vittoria. Li hanno tirati su di notte, sulle facciate degli edifici più alti e nelle piazze principali.

Terza reazione, che sconfessa la seconda e segue alla prima: il partito di governo – con fare piuttosto insolito visto che è l’esecutivo che controlla la Ysk, la commissione elettorale – ha denunciato brogli e annunciato ieri la presentazione di un ricorso per il riconteggio dei voti sia nella capitale Ankara che a Istanbul.

Nel mirino dell’Akp (secondo cui Yildirim avrebbe vinto con tremila voti di scarto) ci sono tutti e 39 i distretti di Istanbul, dove – dice – si sono registrate «irregolarità» e voti «eccessivi». Lo scarto tra Yildirim e Imamoglu è minimo, 20mila voti e il Chp li rivendica tutti.

La Ysk è chiamata a dare i risultati finali entro tre giorni: oggi, dunque, dovrebbe sapersene di più. Poi avrà tempo fino al 12 aprile per emettere la sua sentenza sul ricorso dell’Akp che, a sentire la conferenza stampa di ieri, riguarderebbe i 319mila voti annullati durante lo spoglio. Il Chp risponde per le rime: «Chiedere di ricontare voti non validi non può essere legale – commenta Canan Kaftancoglu, segretario del partito repubblicano a Istanbul – Le obiezioni per ogni urna vanno depositate subito dopo la fine dello spoglio».

Per Erdogan (quello del motto «Chi vince Istanbul, vince la Turchia») il colpo è duro: le tre principali città del paese, Ankara, Istanbul e Smirne, sono in mano all’opposizione. Tre città fondamentali sul piano politico-simbolico, ma anche su quello economico. Da cui l’idea (circolata già domenica) di bruciare altri pozzi, quelli del budget statale destinato alle amministrazioni locali: taglio selvaggio, così vediamo come governano senza soldi.

La tensione politica non cala, lo si vede a occhio nudo: polizia ed esercito presidiano ancora il quartier generale della Ysk, mentre sui media fin troppo filo-governativi appaiono storie inventate di sana pianta su presunti arresti di presidenti di seggio che lo stesso governo ha poi smentito.

Un governo che si mette in difficoltà da solo, verrebbe da dire: ha perso le grandi città, ma nel resto del paese ha tenuto attestandosi sul 44%, dato in linea con le precedenti consultazioni. E, grazie alla riforma costituzionale, Erdogan resta il sovrano semi-assoluto della Turchia.