C’è un epidemia di desapariciones forzadas in Messico: sono 34.268 i casi registrati dal governo messicano, e 2.157 riguardano lo Stato di Chihuahua, al confine con gli Stati uniti.

È lì che ha sede il Cedemh, il Centro de Derechos Humanos de las Mujeres, un’associazione nata nel 2006. A marzo è stata in Italia la direttrice, Ruth Fierro, per promuovere il libro «La Lucha», grapich novel di Jon Sack e Adam Shapiro per Front Line Defenders, appena pubblicata in Italia da Round Robin (15 euro).

Ogni incontro è stato l’occasione per raccontare la fase molto delicata che vivono in Messico i difensori dei diritti umani, a circa tre mesi dalle elezioni che designeranno il successore del presidente Enrique Peña Nieto. «Ho iniziato a collaborare con l’associazione nel 2011, a un anno dalla laurea: inizialmente operavo nell’area internazionale che si occupa di portare i casi che seguiamo di fronte a istanze come la Corte interamericana dei diritti umani o l’Onu – spiega al manifesto Ruth Fierro -. Quando sono entrata nel Cedemh seguivamo un caso di desaparicion forzada, che riguardava 2 donne e un uomo, che sarebbero state sequestrate da membri delle forze di polizia. Un caso risalente al 2009, che nel 2011 era ancora l’unico. Oggi invece ne patrociniamo ben 170, accompagnando circa 400 familiari nella ricerca dei propri cari».

«La Lucha» è anche un omaggio alla fondatrice del Cedemh, Luz Estela Castro, da tutti conosciuta come Lucha, «lotta», avvocata e attivista sociale.

«A Chihuahua c’è un’epidemia di violazioni dei diritti umani». Chihuahua significa anche Ciudad Juarez, che negli anni ’90 conobbe – parafrasando Lucha – un’epidemia di femminicidi.

Ruth Fierro direttrice del Centro de Derechos Humanos de las Mujeres

 

Che relazione c’è tra i femminicidi degli anni ’90 e le desapariciones forzadas di oggi?

Alla base di tutto c’è uno Stato incapace di affrontare le situazioni di criminalità.

Quando nel 1993 Ciudad Juarez divenne «famosa« per i femminicidi, secondo le statistiche delle autorità il 93% di questi dipendeva dalla violenza familiare.

E non è servito a niente che la Commissione interamericana per i diritti umani e la Corte interamericana in alcune sentenze, ma anche Amnesty nei suoi rapporti, abbiano concluso affermando che gli episodi di violenza avevano senz’altro a che vedere con una società machista, ma poggiassero sull’inefficacia dello Stato nell’investigare in modo adeguato i femminicidi. Che non significa solo mancanza di inchieste efficaci, o di interventi di prevenzione, ma anche un trattamento indolente delle autorità nei confronti delle famiglie, cose che ritroviamo anche oggi.

Dal punto di vista legale, già allora si criticavano i servizi peritali, un problema che è andato in crescendo: l’incapacità riguarda anche la conservazione e classificazione dei resti forensi, o l’impossibilità di scambiare informazioni genetiche tra gli Stati della Repubblica.

Una persona che cerchi le ossa di un familiare in tutto il Paese, dovrà andare a bussare ad ognuno dei 32 Stati messicani.

Quando nel 2006 l’allora presidente Felipe Calderon avviò quella che venne definita «guerra al narcotraffico», lo Stato di Chihuahua fu uno tra i primi a militarizzare i processi di pubblica sicurezza, subito dopo il Michoacan.

In questo contesto le donne vivevano la situazione più vulnerabile: venivano abusate sessualmente anche nei posti di blocco.

È in questo contesto che iniziano le desapariciones forzadas. Le donne spesso sono viste come un «oggetto», in un contesto di impunità.

I numeri ci dicono però che il 77% delle sparizioni riguardano giovani uomini in età produttiva.

A fine 2017 la presenza dei militari da «eccezionale» è diventata norma: la spaventa?

È stata approvata una legge che regolarizza la loro presenza in strada, nonostante l’allarme di tutti gli organismi internazionali, dalla Commisione interamericana per i diritti umani, all’Alto commissariato Onu per i diritti umani, alla totalità delle organizzazione messicane impegnate sul tema avessero protestato.

La reazione a questa decisione imposta dal governo di Peña Nieto, però, è qualcosa che non era mai successo in Messico prima d’ora: molti attori hanno presentato ricorso contro la costituzionalità dell’atto.

Lo hanno fatto istituzioni dello Stato, come la Commissione nazionale per i diritti umani o l’istituto per la trasparenza, almeno un governatore, quello di Chihuahua, e un municipio dello Stato di Puebla.

Tra il 23 e il 26 aprile, noi del Centro saremo di fronte alla Corte interamericana per discutere un caso di desaparicion forzada: spero che, incidentalmente, questo permetta alla Corte di affrontare il tema della nuova legge per la «sicurezza della Nazione».