A tre anni dalla scoperta del mega giacimento sottomarino di gas Zohr, lungo le coste egiziane, l’Eni ne ha individuato un altro di una portata tale da poter far definitivamente esplodere la diatriba mediterranea sulle riserve offshore.

Noor (luce, in arabo) conterebbe riserve tre volte più ampie di Zohr. A rivelarlo sono state fonti del ministero del Petrolio egiziano all’Egypt Independent. La conferma è arrivata ieri, dall’ufficio del ministro al-Molla: il consiglio dei ministri ha già stanziato 105 milioni di dollari per avviare l’esplorazione nell’area di mare di fronte al Sinai del Nord.

Eni per ora non commenta; di certo si sa che sabato scorso l’ad del cane a sei zampe Descalzi ha visto al-Molla a cui ha ricordato che all’Egitto va il 70% degli investimenti esteri della compagnia. Se Zohr, scoperto nel 2015, ha una portata accertata di 850 miliardi di metri cubi di gas, per Noor se ne stimano tre volte tanti. L’esplorazione dovrebbe iniziare tra due mesi nell’area di Shorok, data al 60% in concessione all’Eni, presente nel paese dal 1954.

Una ricchezza che fa della compagnia italiana il primo produttore in Egitto, 230mila barili estratti al giorno su una superficie di 23mila km². E fa dell’Egitto, potenzialmente, il primo produttore di gas naturale della regione. E se una simile capacità estrattiva potrebbe migliorare di fatto la vita degli egiziani (al momento Il Cairo continua a importare energia per far fronte alla crescita demografica e ai frequenti blackout), dall’altra parte potrebbe rivoluzionare i già complessi equilibri dell’area.

A febbraio il governo egiziano aveva firmato con Israele un accordo per l’acquisto di 64 miliardi di metri cubi di gas dai bacini Leviatano e Tamar, 15 miliardi di dollari per dieci anni. Siglato, si dice, in attesa dell’autosufficienza. O, si può ipotizzare, per normalizzare i rapporti con il vicino, un percorso scelto da diversi regimi arabi, e che nel caso del Cairo trova la sua più spiccata espressione a Gaza, sotto doppio assedio israeliano ed egiziano.

Con Noor la situazione cambia: una settimana fa al-Molla aveva già avanzato l’ipotesi di uno stop alle importazioni entro la fine dell’anno. Tel Aviv trema: è passata dalla convinzione di essere il primo produttore della regione, nel 2010, a una realtà dove aumentano gli attori in competizione.

A febbraio la Turchia con due fregate ha bloccato Saipem 12000, nave dell’Eni che operava a Cipro del Sud, nel giacimento Afrodite scoperto nel 2011 ma bloccato dalle tensioni politiche, rivendicando per sé le ricchezze sottomarine dell’isola contesa. E pochi giorni fa ha inviato la sua prima missione esplorativa sul Mar Nero e sulle coste mediterranee di Antalya, che si affacciano su Cipro ma anche sul triangolo di mare conteso tra Israele e Libano.

L’altro grande conflitto: martedì il presidente libanese Aoun ha accusato Tel Aviv di aver rifiutato l’accordo proposto per porre fine alla diatriba sul blocco 9, il triangolo di mare di 860 km2 lungo il confine marittimo tra Israele e Libano.

Per Beirut ricade nelle proprie acque territoriali (tanto da assegnarne, lo scorso dicembre, l’esplorazione a Eni, Total e Novatek), per Tel Aviv si trova nelle sue. E poi c’è l’Iran: il bacino South Pars, nel Golfo Persico, con i suoi 51 miliardi di miliardi di metri cubi di gas è il più grande al mondo, con riserve pari alla somma di tutti gli altri giacimenti insieme.

Al suo sviluppo hanno lavorato in tanti, la russa Gazprom, la francese Total, Eni, ma resta in bilico per il permanere delle sanzioni e delle conseguenti difficoltà delle compagnie straniere a operare liberamente in Iran, la cui situazione economica potrebbe nettamente migliorare vendendo energia all’Europa, una disgrazia per il fronte israelo-saudita che la guerra a Teheran la fa anche così, via presidente Trump.

In un mondo arabo in ebollizione, dove gli interventi esterni stanno di nuovo modificando in chiave neocoloniale confini disegnati a tavolino, il gas è parte delle guerre in corso, con le due super potenze Russia e Usa a contendersi zone di influenza politica, ma anche economica ed energetica. In mezzo, interessati mediatori, ci sono altre «potenze»: le grandi compagnie straniere, a partire da Eni e Total invitate dai governi a esplorare, a estrarre.

Sul lato italiano, sullo sfondo resta la mancata verità sulla morte di Giulio Regeni, disattesa e depistata dal regime di al-Sisi e scordata tra i ricchi rapporti economici intessuti con Roma.