La montagna che Giorgia Meloni deve scalare non è la pur erta questione dei ministeri, nonostante la grana Salvini: sono i rincari. Dunque non è affatto sorprendente che la sua prima uscita con tono già da premier, dopo il prolungato silenzio post-elettorale, sia una nota molto allarmata sulla crisi e soprattutto molto dura nei confronti della Germania, che con il maxistanziamento di 200 mld ha di fatto deciso di fare da sola: «Di fronte alla sfida epocale della crisi energetica serve una risposta immediata a livello europeo. Nessuno Stato membro può offrire soluzioni efficaci». Poi un doppio auspicio: che nel Consiglio Ue sull’energia «prevalgano buon senso e tempestività e che su questo fronte tutte le forze politiche italiane dimostrino compattezza».

È SIGNIFICATIVO CHE LA LEADER, la cui posizione è identica a quella di Draghi con cui si è sentita ieri al telefoni, eviti ogni polemica con il governo uscente a differenza di un pezzo da 90 di FdI come Fabio Rampelli: «Mi aspetterei che il governo dimissionario si prendesse carico di un problema che non abbiamo generato noi e che sarebbe ingeneroso lasciare al futuro governo». Non sarà accontentato e difficilmente si realizzerà anche il suo auspicio che il Consiglio europeo del 21-22 ottobre decida il tetto sul prezzo del gas. Quindici Paesi tra cui Italia e Francia lo chiedono con martellante insistenza ma senza la Germania la strada è sbarrata e la Germania, co nquello stanziamento di 200 mld, dimostra di voler procedere da sola. Draghi non nasconde l’irritazione: «Davanti alle minacce comuni dei nostri tempi non possiamo dividerci a seconda dello spazio dei nostri bilanci nazionali». Ma la realtà è che l’Europa di questa crisi non è e neppure somiglia a quella del Covid.

I TRATTI DI QUESTA REALTÀ li definiscono le cifre, quasi senza bisogno di commenti. La Germania mette in campo 200 mld. Il prossimo governo ne avrà a disposizione per gli aiuti 9,5 lasciati in eredità dal governo uscente anche grazie al contributo proprio dell’inflazione. La Nadef certifica il lascito, del resto già annunciato da Draghi nella sua ultima conferenza stampa. Grazie alla tassa sugli extraprofitti e a qualche spostamento di spesa si dovrebbe arrivare a una cifra più o meno uguale a quella dell’ultimo dl Aiuti di Draghi: 18-20 mld. Diversa è però la situazione. A fronte di rincari delle bollette del 59% e di una crisi dovuta non solo all’energia ma anche all’impennata generale delle materie prime è una goccia nel mare. E il rifinanziamento delle misure di Draghi per l’anno prossimo non costerà comunque meno di 40 mld.

IL QUADRO È ANCHE PIÙ drammatico passando dal prossimo dl Aiuti alla manovra, quella da approntare in tempi record facendo lo slalom tra gli scogli economici, la scarsità assoluta di risorse, e quelli politici, le pressioni della Lega. «La Ue è pronta ad aspettare il tempo necessario per la formazione del nuovo governo», assicura Bruxelles. Ma non è questione di una settimana in più o in meno, così nello stato maggiore della premier in pectore spunta una tentazione estrema: varare una manovra fatta solo di saldi, quella che in gergo si definisce «manovra tabellare» e rinviare gli interventi e dunque le scelte politiche ai primi mesi dell’anno prossimo.

RESTA IN SOSPESO IL QUESITO su chi dovrà fare quelle scelte e affrontare la tempesta. Per ogni governo la scelta del ministro dell’Economia è determinante. Mai come in questa occasione, sia perché la situazione che si profila è da emergenza assoluta sia perché proprio quel nome sarà uno dei principali indicatori in base ai quali la Ue e i Paesi europei daranno un primo giudizio sul governo di centrodestra. Per questo Fabio Panetta resta il nome sul quale punta la leader di FdI, nonostante abbia già più volte respinto gli inviti. Sia per competenza che come garanzia agli occhi della Bce, del cui board fa parte, sarebbe più che prezioso. La futura premier dunque non si arrende e si moltiplicano pressioni di ogni tipo. Ma un’ipotesi alternativa va individuata subito: al momento la principale è quella dello spacchettamento con le Finanze a Leo e il Tesoro, forse, a Siniscalco. Ma è un disegno di ripiego che difficilmente reggerà sino alla vera formazione del governo.