Nel 1709 il pittore francese esponente del rococò Jean Antoine Watteau manda la sua candidatura al «Prix de Rome», un premio prestigioso e molto ambito che dava la possibilità di soggiornare all’Accademia di Francia a Roma. Respinto al primo tentativo ci riprova nel 1712 ma fallisce ancora.

Ottiene però l’altrettanto prestigiosa ammissione all’Accademia di pittura a Parigi, ma questo non sarà sufficiente a lenire un dispiacere che lo porterà a inventare paesaggi fantastici di ispirazione italiana per tutta la vita.
Un esempio è proprio il dipinto con cui si presenta per l’ammissione in Accademia, «Pellegrinaggio all’isola di Citera» che inaugura il genere della Fêtes galantes, rappresentazioni di aristocratici sollazzi in spazi aperti sospesi in un’ambientazione mitica ed esotica, nel caso di Watteau dal sapore fortemente veneziano.

LO STESSO SENTIMENTO di frustrazione legato all’impossibilità di visitare luoghi lontani porterà un secolo dopo Emilio Salgari a partorire un immaginario altrettanto esotico. La sua biografia è puntellata dalle testimonianze di un rimpianto legato all’impossibilità di diventare un grande marinaio, dopo aver fallito nel progetto di ottenere il tanto desiderato brevetto di capitano di lungo corso.
Il suo spazio di esplorazione sarebbe rimasto quindi quello della finzione letteraria, all’interno della quale avrebbe agito come un predatore di fonti in mancanza di un’esperienza diretta. Avrebbe ricreato in studio la fauna, la flora, le usanze e i costumi della lontana India con un’attitudine da sceneggiatore teatrale.

IL LAVORO di Alessandra Messali Emilio Salgari and the tiger – A Story Written in Far Away Italy, Set in Guwahati 1870 esposto al Pav di Torino come parte della mostra «La Natura e la Preda» curata da Marco Scotini, coglie la matrice teatrale dell’opera salgariana e la restituisce in una sceneggiatura costruita a partire da estratti dal ciclo indo-malese – Alla conquista di un impero, Il Bramino dell’Assam e La rivincita di Yanez – ambientato nella remota regione dell’Assam, territorio allora controllato dalla corona britannica.

Messali ha condotto una ricerca comparativa tra i testi di Salgari e il contesto indiano, attraverso le fonti a disposizione di Salgari al tempo, allo scopo di rintracciare l’origine di un immaginario orientalista che ha avuto un peso enorme nella costruzione dell’identità italiana postunitaria nonché nel progetto imperialista durante il fascismo.

Ogni elemento della mitica sceneggiatura salgariana è accreditato da una fonte, e Messali riesce a svelare le politiche della rappresentazione e dell’autorappresentazione sottese, sebbene nel contesto del romanzo di avventura che si professava votato esclusivamente a divertire e istruire.
Ne emerge una narrazione alterata della realtà, in parte a causa della necessità di rendere l’universo narrato fantastico e remoto, in parte per la mancanza di informazioni relative al contesto.

LONTANA DAL DESIDERIO di sanare o correggere i testi, Messali rintraccia tre topoi intorno ai quali si codifica l’immagine connotata dell’India salgariana: la città, la foresta e il fiume, luoghi che costituiscono impalcatura della sceneggiatura che l’artista ha portato in scena in collaborazione con le studentesse dell’Handique Girls College di Guwahati. Assolutamente ignare delle narrazioni favolistiche di Salgari, le ragazze hanno mostrato invece familiarità con i resoconti inglesi di metà Ottocento e al loro approccio naturalistico, funzionale al progetto coloniale.
Il lavoro di Messali su Salgari coglie il potenziale di questo paradosso: la mostruosità della narrazione orientalista tra il tassonomico e il fantastico, e l’invenzione favolistica di Emilio Salgari degna dei cieli di Watteau.