«Come molti una sconfitta del centro sinistra di questa entità non me l’aspettavo. Ma che il vento spirasse in questa direzione era chiaro e evidente da anni, siamo di fronte ad un risultato che viene da lontano». A parlare è Bruno Simili, vicedirettore della rivista il Mulino, bimestrale che fa capo all’omonima associazione, pensatoio di rilievo nazionale per le analisi e i dibattiti che ruotano attorno al mondo politico e culturale italiano.

Simili cosa pensa della sconfitta del Partito democratico in Emilia-Romagna?
Un vero partito dovrebbe guardare i numeri, e i dati dicono che una forte riduzione dei consensi si era già vista due legislatura fa, tra il 2008 e il 2013. L’Emilia è una regione rossa? Un baluardo della sinistra? Chiaramente no. Quando arriva una batosta del genere, e la sconfitta è evidente considerando che il Pd in regione non è più il primo partito, allora c’è una sola spiegazione: hai lasciato enormi vuoti di rappresentanza.

Il Pd non è più il primo partito, cosa si è inceppato?
Non siamo più di fronte ad un’isola felice. Ci sono prima di tutto fattori nazionali: una differenziazione tra il voto dei ceti medi autonomi e quello dei lavoratori dipendenti che non è più così chiara, poi c’è un mutamento generazionale, le difficoltà economiche di giovani o ex giovani, le modalità di socializzazione politiche che sono cambiate o inesistenti, e che fanno percepire le vecchie tradizioni politiche come insignificanti.

Sul voto hanno pesato fattori economici locali?
Innanzitutto una premessa: siamo di fronte a una Regione che ha fatto scelte importanti per aiutare le famiglie di difficoltà, alcuni dicono simboliche o insufficienti certo, ma mentre si straparla di reddito di cittadinanza il governo dell’Emilia-Romagna ha agito. Detto questo i dati economici parlano chiaro. Sul territorio ci sono territori dove coesistono due caratteristiche: da un lato una situazione di difficoltà economica che si traduce in un voto anti-Pd, dall’altro c’è chi ha la preoccupazione di scivolare verso il basso. E’ la cosiddetta sofferenza della classe media, persone che tentano di trincerarsi dietro un voto che, immaginano, possa difenderli dall’immigrazione e dalla perdita del lavoro. La crisi economica ha colpito molto, parlo di precarizzazione, dell’aumento di famiglie giovani o con disabili che si avvicinano alla soglia di povertà. Il Pd emiliano ha tenuto meglio, e non è un caso, non solo dove è più forte il radicamento della cultura comunista ma anche e soprattutto nei territori e nelle città più ricche.

Secondo lei il Pd ha perso la capacità di reagire a questi cambiamenti?
Un partito è o dovrebbe essere un’organizzazione complessa. Al di là degli slogan che caratterizzano la leadership dovrebbe esserci qualcuno che va a vedere cosa succede nel rapporto tra il partito e il territorio. Questo evidentemente è mancato, e se queste analisi ci sono state allora non sono state ascoltate.

Fra un anno e mezzo ci sono le regionali, l’Emilia-Romagna è contendibile?
Tutto dipenderà da due cose: da una parte conterà quello che riuscirà a fare il partito a livello locale, se riuscirà a riposizionarsi e a riprendere il controllo del territorio; dall’altra sarà importante capire se la giunta regionale saprà arrivare alla fine del mandando con risultati e con una squadra di governo coesa. Nel 2014 l’astensione fu sopra al 60%, un dato così anomalo che in questi termini non si ripeterà più. E’ difficile immaginare cosa succederà, possiamo dire – e non è detto sarà così – che se quell’astensione si tradurrà in un voto anti Pd allora saranno davvero guai.