Con il passare delle ore appare sempre di più come una chacina, mattanza, quella che si è consumata giovedì mattina nella favela Jacarezinho, nella zona nord di Rio de Janeiro. Un’operazione di polizia con 200 agenti e l’impiego di due elicotteri e veicoli blindati ha portato morte e distruzione tra i 400mila abitanti della baraccopoli. Si contano almeno 25 morti, tra cui un agente di polizia, e numerosi feriti.

Un intervento violento, con spari dagli elicotteri e l’uso di granate e fucili automatici, ha prodotto la più grande carneficina nella storia di Rio. Anche alcuni passeggeri che si trovavano nella stazione della metropolitana di Triagem sono rimasti feriti dai colpi sparati dagli agenti.

Secondo la ong Fogo Cruzado (fuoco incrociato), laboratorio di dati sulla violenza armata, «siamo di fronte a una strage e al più alto numero di morti in una singola operazione di polizia». In conferenza stampa le autorità di polizia hanno dichiarato che l’operazione era autorizzata e aveva lo scopo di smantellare una banda di trafficanti che reclutava minori per attività criminali.

Si afferma che le 24 persone uccise erano armate, senza comunicare i loro nomi e dare altri dettagli, le circostanze in cui sono stati colpiti. Respinte, come sempre, le accuse di abusi. Si sostiene, inoltre, che l’intervento si è svolto nel rispetto di tutti i protocolli ed è il risultato di dieci mesi di indagini.

Ma sono molti gli analisti che, analizzando le dinamiche dell’intervento, parlano di esecuzioni extragiudiziali, di una vendetta degli agenti per la morte del poliziotto avvenuta all’inizio dell’operazione. Joel Luiz Costa, avvocato e membro della Commissione dei diritti umani, è andato nei luoghi dell’intervento, ha visto il sangue e i segni dei proiettili nelle vie e nelle case, ha raccolto le testimonianze di vere e proprie esecuzioni. «Siamo di fronte a un massacro, una crudeltà, una barbarie», ha dichiarato dopo la visita. La comunità di Jacarezinho sta protestando con forza, accusando la polizia di comportamento criminale.

I principali accessi alla favela sono stati bloccati. Si discute da anni sulla letalità delle operazioni di polizia in Brasile e dell’impunità di cui godono i poliziotti che compiono abusi. Raramente vengono identificati e condannati.

Il Gaesp, organismo responsabile nell’investigare gli abusi e i comportamenti non appropriati della polizia, è stato sciolto un mese fa. Secondo l’Osservatorio di pubblica sicurezza dell’Università Candido Mendes, nel 2019 sono state 1.810 le persone uccise a Rio dalla polizia, un record da quando esistono statistiche ufficiali. Nella regione metropolitana di Rio sono state 337 le operazioni compiute tra marzo 2020 e febbraio 2021, un periodo in cui erano in vigore le misure di isolamento sociale.

Nei primi tre mesi del 2021 gli interventi della polizia nell’area di Rio hanno prodotto la morte di cinque persone al giorno. Il Supremo Tribunale federale aveva deciso nel giugno 2020 che durante la pandemia dovevano essere sospese nelle favelas e nelle periferie dello Stato di Rio tutte le operazioni di polizia non urgenti. Si indicava espressamente che «gli interventi erano consentiti solo in casi assolutamente eccezionali e preventivamente autorizzati».

La decisione era stata presa sotto la spinta delle organizzazioni per i diritti umani e dei familiari delle vittime. Ma la polizia aveva sempre considerato la presa di posizione del Stf un ostacolo alla sua azione e non un’indicazione a modificare le fallimentari politiche di sicurezza fatte di operazioni militari ad alta letalità.

Monica Cunha, coordinatrice della Commissione dei diritti umani dell’Assemblea legislativa di Rio, afferma che «l’operazione condotta a Jacarezinho va contro la delibera del Stf e la polizia entra nelle favelas per fare morti». «Questa è sicurezza pubblica?» si chiede in un documento il Psol. La carneficina nella favela di Jacarezinho riapre in modo drammatico la questione.