Fa sorridere il dispiacere di Josep Borrell. L’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue ieri si è detto «profondamente deluso» dalla decisione annunciata giovedì dal presidente dell’Anp Abu Mazen di rinviare le elezioni palestinesi. «L’Ue – ha affermato – sostiene elezioni credibili, inclusive e trasparenti per tutti i palestinesi». E si è appreso anche che Francia, Germania, Italia e Spagna hanno chiesto al leader palestinese di fissare subito una nuova data per il voto. Sono solo proclami. Bruxelles non ha fatto nulla per convincere Israele a garantire il voto anche ai palestinesi di Gerusalemme Est. E lo stesso può dirsi degli Usa. Come della Giordania e dell’Egitto. Silenzio e ambiguità, uniti all’apparente indifferenza del governo Netanyahu che per mesi ha taciuto sulle elezioni palestinesi a Gerusalemme, hanno posto le basi per il pretesto usato da Abu Mazen per rinviare le legislative del 22 marzo e le presidenziali del 31 luglio.

La vera delusione non è degli europei ma dei palestinesi, di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est, i territori sotto l’occupazione di Israele. Anche di quelli che sono dipendenti dell’Autorità nazionale palestinese o simpatizzanti di Fatah, il partito di Abu Mazen. Avevano cominciato a crederci. Ma su Abu Mazen hanno prevalso il terrore di perdere le elezioni e le pressioni dietro le quinte dei suoi sponsor come dei suoi nemici, preoccupati di una vittoria degli islamisti di Hamas alle legislative, 15 anni dopo quella straripante del 2006, e della sua sicura sconfitta contro Marwan Barghouti, il Mandela palestinese, pronto a presentarsi alle presidenziali del 31 luglio. «I palestinesi avevano accolto con entusiasmo ed energia la prospettiva del voto. Invece le elezioni si sono trasformate in profonda delusione e rabbia. Gerusalemme è l’essenza della sfida ma non può essere un pretesto per sovvertire la democrazia», ha commentato Hanan Ashrawi, storica portavoce palestinese durante la prima Intifada. La frustrazione che portò Ashrawi qualche mese fa ad uscire dal Comitato esecutivo dell’Olp in polemica con la linea di Abu Mazen, ha trovato nuove ragioni a sostegno di quella scelta.

Il malumore e, in alcuni casi, la rabbia dei leader dei partiti, islamisti di Hamas o del Fronte popolare (sinistra), e delle liste che si erano registrate per le elezioni, si combinano con quanto che provano le persone comuni. Fabian Odeh, un dipendente dell’Anp, parla di «shock per la modalità con cui (Abu Mazen) ha comunicato la sua decisione. L’opinione pubblica palestinese contava su queste elezioni anche per mettere fine alla divisione interna (tra Hamas e Fatah, ndr)». Il passo fatto da Abu Mazen, sottolinea Odeh, «non ha considerato tutte le fazioni politiche e le forze indipendenti ma solo una parte di esse. Andava fatta una discussione più ampia sulla questione del voto (a Gerusalemme Est, ndr)». In questo modo, aggiunge, «è come aver dato a Israele il diritto di veto sulle elezioni palestinesi e non solo a Gerusalemme». Fidaa Abu Hamdiyeh, attiva nella società palestinese, dice di sentirsi presa in giro. «Abu Mazen giovedì sera si rivolgeva a noi come se fossimo dei bambini – spiega – ci ha detto ‘bravi’ vi siete registrati, avete fatto il vostro dovere però non potete votare».

Da Gaza Aziz Kahlout evidenzia un approccio diverso alla decisione di Abu Mazen. «Le elezioni sono importanti ma – aggiunge – pensate che una famiglia povera di Gaza, e sono tante, che fatica a procurarsi da mangiare assegni più importanza al voto che al piatto in tavola? Il rinvio delle votazioni qui è un tema che coinvolge solo una minoranza».