Sono sette i candidati che sfideranno Vladimir Putin nelle presidenziali di domenica. Nessuno di essi ha mai pensato di uscire vincitore dalla sfida: nelle elezioni russe come per le Olimpiadi, dal 2000 ad oggi «l’importante è partecipare».

L’AVVERSARIO PIÙ CREDIBILE del presidente russo resta Pavel Grudinin. Imprenditore del settore agroalimentare, ha accettato di correre per il partito comunista, sostituendo all’ultimo momento l’ormai spento Gennady Zyuganov, sempiterno lider maximo dei nostalgici dell’Urss. Malgrado lo scandalo dei conti bancari all’estero che gli è piovuto addosso, Grudinin è continuato a crescere per tutta la campagna elettorale nelle classifiche di gradimento dell’elettorato. Con un mix di populismo anti-casta e difesa delle fasce più deboli della popolazione ha sfondato tra i delusi di Putin perdendo forse qualcosa tra l’elettorato tradizionalmente di sinistra.
Si richiama – per quanto riguarda l’economia, al modello di sviluppo cinese. In politica estera è per proseguire sulla strada tracciata da Putin.

XENIA SOBCHAK, figlia del celebre sindaco di San Pietroburgo negli anni ’90, è da tempo una vedette della Tv di intrattenimento. Protagonista di varie edizioni dell’Isola dei famosi in salsa russa, conduce un talk-show di successo sulla Tv via cavo.

Già attiva nei movimenti anti-Putin del 2011-2012 si dichiara per un nuovo referendum in Crimea e la normalizzazione dei rapporti con l’Ucraina di Poroshenko. Sostenitrice dei diritti gender, è volata in Cecenia per chiedere ancora una volta giustizia per le violenze contro i gay. Ha anche caratterizzato la sua campagna sulla difesa delle condizioni di vita delle ragazze-madri e delle donne in generale. Malgrado la grande esposizione mediatica, resta un outsider da 5%, al netto ovviamente delle frodi.

Il partito liberal-democratico, che di liberal e democratico ha ben poco essendosi caratterizzato da sempre per xenofobia, razzismo, anticomunismo viscerale e misoginia, è ancora una volta rappresentato da Vladimir Zhirinovsky. È ormai alla sua quinta partecipazione e non è mai riuscito a raggiungere le 2 cifre percentuali. Difficilmente ci riuscirà anche questa volta. Mantiene un certo appeal tra i pensionati e tra la classe operaia più arretrata. Crede che alla «guerra di civiltà» con l’Occidente non ci sia alternativa e la Russia deve armarsi assai più di quanto abbia fatto finora.

TRA LE STELLE CADENTI c’è anche Grigory Yavlisnky che per tanti anni con il suo partito «Yabloko» ha tenuto alta la bandiera del centro-destra «per bene» in Russia. Neoliberale, ma non estremista, filo-occidentale ma senza richiami russofobici, Yavlisnky rappresenta ciò che la borghesia russa non ha voluto o potuto essere: moderata, colta, rispettosa delle leggi.

IL PIÙ AGGRESSIVO e populista Navalny lo ha sostituito nei cuori di chi guarda all’Occidente come modello: se prenderà come si annuncia l’1-2% sarà per lui l’ultima corsa alla presidenza. Tra i candidati minori, chi ha destato il maggior interesse è stato Maxim Suraychin.

COMUNISTA DA SEMPRE, ha sbattuto la porta del partito di Zyganov – considerato ormai «imborghesito» – nel 2004 fondando nel 2010 i «Comunisti Russi». Ha presentato per le presenziali un programma il cui titolo parla da solo: «dieci passi stalinisti contro il capitalismo» in cui si rivendicano alloggi gratuiti, nazionalizzazioni e prezzi calmierati sui generi di prima necessità. Completano il quadro dei candidati in lizza il vecchio professore universitario Sergey Baburin e l’imprenditore Boris Titov.

IL CONVITATO DI PIETRA resta comunque il temutissimo astensionismo. Oltre a Navalny hanno chiamato al boicottaggio varie forze di sinistra come il Levy Blok che nelle ultime ore lamenta l’arresto di suoi militanti. Ma più che l’astensionismo politicizzato, Putin sa bene che passività e rassegnazione sociale restano il suo più pericoloso avversario.