Nuova tornata elettorale in Kazakhstan domenica, la terza in meno di 10 mesi, dopo il referendum dello scorso giugno e le presidenziali dell’ottobre 2022. Al pari delle consultazioni precedenti, il presidente Kasymzhomart Tokaev ha voluto quest’esercizio al di fuori del calendario ordinario, nella ricerca di un equilibrio interno del paese dopo le violenze urbane che lo hanno portato ai limiti del collasso nel gennaio 2022 e la profonda polarizzazione creata dall’intervento russo in Ucraina.

SECONDO L’EXIT POLL, il “partito di Stato” Amanat («volontà ancestrale», già Nur-Otan «luce della patria») ha ottenuto il 53% dei suffragi e controllerà come tradizione la camera o Mazhilis, oltre che le assemblee locali, o Maslikhat, per cui si è anche votato.

Seguono il partito agrario Auyl («villaggio», 10,9%), Ak Zhol («via luminosa», 8,4%), espressione della business élite del paese, e il “socialista” Partito del Popolo (6.8%). La soglia di sbarramento del 5% dovrebbe ancora essere superata dal neonato partito Respublika e dalla sedicente opposizione del Partito nazionale social-democratico (Osd).

Nonostante l’apparente pluralismo, tutti questi soggetti, i primi tre in particolare, rappresentano poco più che sfaccettature di un unico sistema di potere, secondo una consolidata tradizione di «ingegneria partitica». Su simili escamotage è stata costruita la traiettoria politica di questo grosso pezzo dell’ex Urss (2.717.300 km², nono paese al mondo), durante i 30 anni in cui il paese è stato espressione del regime autocratico del predecessore di Tokaev, il «padre della patria», Nursultan Nazarbaev.

Secondo il giudizio degli osservatori internazionali dell’Osce, le elezioni presentano miglioramenti ma a certi gruppi è stato impedito di concorrere su basi paritarie. In effetti, ancora nel 2007 le elezioni avevano creato un Mazhilis monopartitico su Nur-Otan. Un’ulteriore novità di queste elezioni è stato il ritorno dei collegi uninominali (29 su 98 seggi), cosa che potrebbe potenzialmente portare candidati alternativi al Mazhilis.

In ogni caso, il risultato resta lontano dal rappresentare il “nuovo Kazakistan” che Tokaev dichiara di voler costruire dopo il quasi collasso del regime del 2022. Il paese detiene enormi risorse (petrolio, uranio e principali metalli rari) i cui proventi alimentano una serrata lotta di fazioni tra cui il presidente si deve districare.

LA GUERRA per il Donbass ha poi posto il Kazakhstan, in cui i russi etnici costituiscono quasi un quarto della popolazione, concentrati lungo gli oltre 7000 km della frontiera con Mosca (la più lunga al mondo) nella pericoloso condizione di potenziale «seconda Ucraina».

Astana è lacerata fra il timore che una Russia vittoriosa continui l’opera di «raccolta delle terre» storicamente russe attorno ai confini e la prospettiva che una sua sconfitta destabilizzi l’intera Eurasia.

L’equazione della sicurezza nazionale è complicata dalla crescita della presenza cinese, anche dato un lungo confine, e dall’influenza Usa, volta a ostacolare la funzione del paese quale ponte fra Mosca e Pechino. In tali condizioni, la chiusura del campo politico è pericolosa: offre agli attori esterni pericolosi punti d’appoggio tra gli esclusi dal potere.