Le elezioni in Mauritania dello scorso 22 giugno si sono concluse con l’esito preannunciato, la vittoria del candidato Mohamed Ould Ghazouani, vicino all’ex-presidente Abdel Aziz. Il voto, che avrebbe dovuto celebrare il primo passaggio democratico di poteri dal 1960, sarebbe stato in realtà solo uno squallido passaggio di consegne, con una bassa affluenza alle urne: appena il 62,68% degli aventi diritto.

DOMENICA 23 GIUGNO, Ghazouani si è autoproclamato vincitore al primo turno prima che la Commissione elettorale pubblicasse in tempi record i risultati definitivi. Nella capitale Nouakchott e in altre città del paese sono esplose le proteste dei sostenitori degli altri quattro candidati, che hanno contestato in coro la vittoria dell’ex-capo di Stato maggiore dell’Esercito ed ex-ministro della Difesa. Tra loro c’era anche Biram Dah Abeid, storico leader del movimento abolizionista e anti-schiavitù dei neri mauritani, Ira, arrivato secondo con il 18,5% e tra i più agguerriti nel denunciare brogli.

Gli sconfitti, guidati proprio da Biram, hanno già presentato un esposto al Consiglio costituzionale mauritano chiedendo una revisione dei risultati, definiti «un colpo di Stato».

CONTATTATA AL TELEFONO con enormi difficoltà (anche le linee telefoniche fuzionano a singhiozzo) una fonte del manifesto vicina all’opposizione, che vuole restare anonima per ragioni di sicurezza, ha anche denunciato brogli: schede elettorali fasulle e precompilate, intimidazioni ai seggi e conteggio dei voti frettoloso e poco accurato. Fatti gravi per cui gli oppositori sostengono di avere «prove e documenti».

Nel frattempo proteste pacifiche sono esplose un po’ ovunque e la risposta del regime di Nouakchott non si è fatta attendere: diversi video girati con smartphone e finiti sui social media, tuttora bloccati dalle autorità, mostrano la polizia che arresta e malmena manifestanti sui cassoni dei pick-up ed è stata proprio la polizia ad ammettere di avere arrestato, da lunedì 24 giugno, oltre cento persone. Gli ambasciatori di Senegal, Gambia e Mali sono stati convocati al Ministero degli Esteri mauritano perché gli arrestati sarebbero «cittadini stranieri che si sono uniti alla contestazione».

«Il copione è sempre lo stesso» dice al manifesto Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: «C’è un sistema di potere che decide quando vincere, contro chi vincere, come vincere, che mette a tacere chiunque dissenta. Già visto anche il tentativo di accusare soggetti esterni di destabilizzazione. La realtà è che la repressione va avanti come sempre in Mauritania e queste elezioni fasulle lo dimostrano: la disattenzione di ciò che accade lì è una disattenzione colpevole perché ci vanno di mezzo coraggiosi attivisti, oppositori e difensori dei diritti umani».

LA MAURITANIA È L’UNICO STATO africano dove la schiavitù è criminalizzata ma regolata per legge: ufficialmente è stata abolita tre volte ma la realtà è differente. Sopra ci sono i bidhan, i mauritani discendenti dai conquistatori arabi e di carnagione chiara, e sotto gli haratin, neri schiavi discendenti di schiavi e partorienti schiavi. La maggior parte degli haratin spesso non vengono nemmeno registrati all’anagrafe. Non hanno diritto di voto, non hanno documenti e non hanno quindi cittadinanza e sarebbero loro, come sempre, ad essere finiti nelle maglie della repressione, fornendo l’alibi del «tentativo di destabilizzazione straniera».

In questo quadro la candidatura di Biram rappresentava una speranza per gli haratin: nei sondaggi effettuati tra la diaspora mauritana in Europa è risultato rappresentare la maggioranza e nei tour elettorali nel sud del Paese ha riscosso molto successo.

DURANTE LE PROTESTE di questi giorni Biram ha incoraggiato i suoi sostenitori a mantenere un comportamento nonviolento e ha denunciato l’uso della forza da parte della polizia e dell’esercito. Per tutta risposta, denuncia l’Organizzazione delle nazioni e dei popoli non rappresentati (Unpo), la polizia ha fatto irruzione e razzia negli uffici dei partiti sconfitti, chiudendoli.