Primo maggio assai movimentato a San Salvador dove alla consueta manifestazione del mattino per la festa dei lavoratori è seguita la sessione d’insediamento della nuova Assemblea legislativa eletta il 28 febbraio scorso, nella quale il partito Nuevas Ideas del giovane presidente della repubblica Nayib Bukele gode della maggioranza assoluta dei due terzi.

EBBENE, COME PRIMO ATTO il neo-parlamento ha decretato l’immediata destituzione del Procuratore generale della repubblica e dei membri della Corte suprema di giustizia, rea di aver dichiarato l’incostituzionalità di alcuni provvedimenti presi da Bukele durante l’emergenza sanitaria.

Ai 55 deputati del partito del presidente si sono aggiunti quelli di una formazione minore della destra (oltre al residuo rappresentante di quello che fu il partito dei militari) per un totale di 64 voti sugli 84 totali; in quello che viene considerato un vero e proprio “golpe tecnico” dell’esecutivo che ora (oltre al legislativo) controlla pure il potere giudiziario (nominato violando tutte le procedure previste).

Durante la breve sessione, ai deputati dei partiti che hanno governato El Salvador dalla fine della guerra civile (1992- 2018), ovvero la destra oligarchica di Arena (14 seggi) e al residuale gruppetto (4 scranni) della ex guerriglia del Frente Farabundo Martì, non è stato concesso neppure il diritto di parola.

LA VIGILANZA DELL’EDIFICIO della Corte suprema è stata subito fortemente rafforzata dalla policia civil, che nel febbraio dello scorso anno (insieme ai militari) aveva assecondato l’assalto intimidatorio ordito da Bukele al parlamento (allora controllato dai due partiti storici) accusato di boicottarlo. E a nulla è valso il comunicato dei magistrati cacciati, in cui si parla di «abuso delle prerogative presidenziali». Mentre, sotto la pioggia, uno sparuto gruppetto si riuniva mestamente in protesta nella piazza del Monumento alla Costituzione.
Andreu Oliva, rettore dell’Università dei gesuiti di San Salvador (quella dove nell’89 in pieno conflitto armato furono trucidati dall’esercito i sei gesuiti che la dirigevano) ha manifestato per primo l’inquietudine per questo «cammino autoritario verso una dittatura nella quale chi non è gradito al presidente non avrà nessuno che lo potrà difendere».

Dopo le plebiscitarie parlamentari di febbraio ci si attendeva ovviamente un’accelerazione degli eventi. Ma non un blitz così fulmineo e deciso, del quale il presidente millennials Bukele ha ringraziato i propri deputati con un messianico «dio e il popolo sono con voi». Proprio lui, il capo di stato twittero, neppure quarantenne, che proveniva dalle fila del Fmln, dal quale era stato espulso (per «intemperanze») quando ne era sindaco della capitale San Salvador.

EX IMPRESARIO, legato a quella che qualcuno definisce la «nuova oligarchia» del Salvador; che ha prosciugato il bacino elettorale della sinistra raccogliendo i consensi delle poverissime e disperate giovani generazioni salvadoregne, oggi speranzose (o illuse) per un diverso futuro. Il prossimo passo di Bukele non potrà che essere una modifica della Costituzione che ne permetterà la rielezione nel 2023 (e oltre).

Non sono mancate nemmeno le note di biasimo della comunità internazionale, come quella diffusa dalla vicepresidente degli Stati uniti, Kamala Harris, preoccupata per «“il destino democratico del Salvador ora privo di un potere giudiziario indipendente».

Richiami ai quali Bukele ha risposto con il seguente tweet: «Le nostre porte saranno sempre aperte; ma, con tutto il rispetto, in questo momento stiamo facendo pulizia in casa nostra; il ché non è di vostra competenza».