Sono trascorsi 17 mesi dal ritrovamento del corpo senza vita, martoriato dalle torture, di Giulio Regeni. Il 3 febbraio 2016, nove giorni dopo la sua scomparsa dal Cairo, il cadavere del giovane ricercatore italiano fu trovato in un fosso lungo la strada che dalla capitale egiziana va ad Alessandria.

DICIASSETTE MESI senza verità né giustizia: nonostante gli sforzi continui della procura di Roma, la collaborazione delle autorità egiziane è stata scarsa e costellata di tentativi di insabbiamento.
Il regime di al-Sisi non si è sentito sotto pressione. Dopo aver richiamato l’ambasciatore Massari in Italia, nell’aprile 2016, e aver interrotto le forniture dei pezzi di ricambio per i caccia egiziani, il governo italiano non ha fatto nient’altro. Vuoi per l’isolamento diplomatico dell’Europa, vuoi per gli interessi economici che lo legano a doppio filo all’Egitto.

A PARLARE SONO I NUMERI, in costante crescita a riprova di relazioni bilaterali mai messe in pericolo, se non a parole, quelle lanciate in pasto ad un’opinione pubblica oltraggiata dall’omicidio e che ancora oggi si batte per avere verità.

Il primo trimestre del 2017 si chiude con un aumento del 30% del valore dell’interscambio commerciale tra Italia e Egitto: quasi 400mila euro in più, dal miliardo dei primi tre mesi del 2016 all’attuale miliardo e 300 milioni. Lo ha reso noto il ministro del Commercio estero egiziano, Tarek Qabil, la scorsa settimana.

In totale il volume degli scambi tra i due paesi è superiore ai cinque miliardi l’anno e questa nuova accelerazione potrebbe far chiudere quello in corso con un ulteriore aumento.

«L’Italia è uno dei partner commerciali più importanti dell’Egitto nell’Unione europea. Le esportazioni non petrolifere sono aumentate del 30%, arrivando a 367 milioni di euro dai 264 milioni di euro nel corrispondente periodo del 2016», ha detto il ministro.

UN BUSINESS RADICATO: sono oltre 130 le società italiane attive nel paese nordafricano, da Intesa San Paolo a Italcementi, da Pirelli a Ansaldo, che fanno di Roma il primo partner commerciale egiziano in Europa.

A fare la parte del leone è però sicuramente il giro d’affari energetico che Qabil non ha conteggiato nel suo ultimo rapporto. Sul piedistallo stanno Eni e Edison, giganti italiani che al Cairo hanno investito miliardi nei bacini di gas e petrolio.

Se il cane a sei zampe è nel paese dal 1954, decenni in cui ha radicato la propria presenza tanto da diventare primo produttore in Egitto con 230mila barili al giorno su una superficie di 23mila km², è stata la scoperta dell’immenso bacino sottomarino di Zohr a modificare l’intera mappa energetica del Mediterraneo.

UN POTENZIALE di 850 miliardi di metri cubi di gas la cui estrazione potrebbe iniziare a ottobre, secondo fonti citate da Agenzia Nova, dopo l’acquisizione da parte di Eni di un impianto di Early Production Facility dalla compagnia statunitense Schlumberger e del completamento, a inizio giugno e con quattro mesi di anticipo, della piattaforma marina per il super-giacimento.

STORIA SIMILE, ma su dimensioni più piccole, per Edison, responsabile al 100% del giacimento di Abu Qir nel Delta del Nilo, al 60% di West Waidi El Rayan e al 20% di Rosetta. Per questo stupisce poco la notizia apparsa sul Messaggero alcuni giorni fa: a Viterbo, tra il pubblico del Caffeina festival, c’erano due spettatori «speciali». I due ambasciatori, l’italiano Giampaolo Cantini e l’egiziano Ayman Thawat.

NESSUNO DEI DUE è ufficialmente entrato nella sede diplomatica, rispettivamente, del Cairo e di Roma per il mancato ripristino delle normali relazioni politiche. Che ogni giorno di più appare come uno specchietto per le allodole.