La nuova frontiera dei diritti umani egiziani è l’accondiscendenza. Non quella paternalistica dell’autorità ma quella rassegnata delle sue vittime: secondo un’inchiesta dell’agenzia indipendente Mada Masr, da un paio di mesi funzionari della Nsa (la temibile National Security) girano per le prigioni di Tora, Minya e Wadi al-Natrun alla caccia di detenuti a cui concedere la grazia in cambio di buona pubblicità.

«COSA DIRESTI a un’iniziativa pubblica se il presidente o il ministro degli interni ti chiedessero delle condizioni di vita in prigione?». Questa la domanda posta a centinaia di prigionieri secondo tre avvocati sentiti dall’agenzia in condizione di anonimato.

Nel caso di risposta «consona» alle aspettative dei servizi segreti, ai detenuti è stata promessa la grazia presidenziale, da finalizzare entro ottobre (forse il 6, in occasione della giornata delle forze armate, o il 18, il compleanno del profeta Maometto). Molti di loro sarebbero già stati trasferiti in altre carceri.

L’idea dietro la manipolazione è fare bella figura. L’iniziativa in questione – una grande conferenza a cui prenderanno parte sia il presidente al-Sisi che il ministro degli interni Tawfiq – vedrà la partecipazione di detenuti, anche politici, da cui ci si aspetta una descrizione dettagliata delle condizioni di vita in carcere.

Descrizione falsata: sono innumerevoli i rapporti di organizzazioni per i diritti umani locali e internazionali e le testimonianze di ex prigionieri che raccontano l’indicibile sofferenza di una vita dietro le sbarre in Egitto.

CELLE SOVRAFFOLLATE, sporche, umide e buie, torture, carenza di assistenza medica, isolamento punitivo, suicidi e morti per gli abusi subiti. Sarebbero quasi 1.100 i detenuti deceduti in carcere dal 2013, anno del golpe dell’allora generale e ministro della Difesa.

I MOTIVI DI TANTA FRETTA sono rintracciabili nelle pressioni che sul regime di al-Sisi sta compiendo l’alleato statunitense. Subito dopo la vittoria di Joe Biden, i consiglieri del presidente lo avevano avvertito della necessità di una virata sulla questione dei diritti umani.

La scorsa settimana lo ha detto chiaro e tondo il portavoce del segretario di Stato Antony Blinken: Washington tratterà 130 milioni di dollari in aiuti militari dei 300 annualmente versati all’Egitto se le violazioni restano strutturali.

Il giorno dopo lo stesso al-Sisi ha annunciato l’intenzione di lanciare nelle prossime settimane la costruzione di un istituto penitenziario «in stile americano», a cui ne seguiranno «altri sette o otto»: «Anche se una persona ha commesso un crimine, non deve essere punita due volte. I prigionieri sconteranno la loro sentenza in modo umano: movimento, sussistenza, sanità, servizi umanitari e culturali».

Salirebbe ancora il numero di carceri nel paese: al momento sono già 79, di cui ben 27 (oltre il 30%) costruite sotto la presidenza al-Sisi, anche per contenere il numero record di prigionieri politici, stimato tra i 60mila e i 100mila, almeno sei volte quelli dell’era Mubarak. Ma che una «punizione» fosse nell’aria era già chiaro e Il Cairo era già corso ai ripari.

NEL LUGLIO 2020, con un ritardo di quasi due anni, ha iniziato i suoi lavori il Comitato supremo permanente per i diritti umani (presieduto dal ministro degli esteri e formato da funzionari dei dicasteri di difesa, interni, giustizia, dai servizi segreti e dalla procura generale) e la scorsa settimana il presidente ha potuto annunciare il lancio di «una strategia nazionale per i diritti umani», di cui ancora si sa poco.

Mada Masr, che ha potuto visionare le 78 pagine, ha individuato quattro aree di interesse: diritti civili e politici, diritti economici e sociali, diritti di donne, bambini, anziani e disabili, educazione nel campo dei diritti umani.

Se alcuni rappresentanti della società civile parlano di passo in avanti significativo seppur ancora limitato soprattutto in riferimento alle detenzioni politiche e ai diritti civili e politici, altri sono più critici: a mancare del tutto è la volontà di porre fine alle violazioni attraverso una seria lotta al clima di impunità che regna nei vari ingranaggi dello Stato, i responsabili principali degli abusi.