Moustafa Kassem si trovava già in una cella della prigione di Tora, tra le più terribili carceri egiziane, quando il suo presidente, Donald Trump, parlava dell’omologo egiziano Abdel Fattah al-Sisi come di «un grande, il mio dittatore preferito».

Padre di due figli, 64 anni, cittadino egiziano-statunitense di New York, Kassem è morto lunedì dopo sei anni di detenzione. Era stato arrestato nell’agosto 2013, nei giorni della strage di Rabaa (circa mille sostenitori dei Fratelli musulmani uccisi a un mese dal golpe di al-Sisi) e condannato a 15 anni.

Lui si è sempre difeso: faceva shopping lì vicino, ripeteva. Malato di diabete e in sciopero della fame, non ha avuto modo di curarsi in una cella che il fratello ha descritto buia e infestata da topi e insetti. Ha scritto a Trump svariate lettere senza risposta. Ieri è giunta la nota del Dipartimento di Stato: «La sua morte è inutile, tragica, evitabile».