Tre sentenze, la stessa chiusura. L’obbligo vaccinale non si tocca, i decreti del governo Draghi che hanno previsto la sospensione dei lavoratori della sanità non in regola con le dosi anti Covid e la conseguente perdita dello stipendio, non sono stati né irragionevoli né sproporzionati, sotto alcun profilo. La Corte costituzionale che aveva già anticipato questa decisione a dicembre dell’anno scorso, ieri ha depositato le sentenze. Le attese motivazioni hanno confermato la giurisprudenza dei giudici delle leggi sull’obbligo vaccinale, anche se alla Corte erano sottoposti argomenti nuovi e scelte legislative assai limitative dei diritti individuali a fronte di una pandemia eccezionale. In un caso però la Corte costituzionale non ha deciso nel merito ed era il più delicato, quello di una psicologa sospesa malgrado esercitasse solo online. E le motivazioni con le quali quel dubbio di incostituzionalità non è stato considerato nemmeno ammissibile aprono la porta a nuovi ricorsi.

Le sentenze sono tre. In una sono accorpate sei ordinanze di rimessione arrivate dai tribunali ordinari, sezione lavoro, di Brescia, Catania e Padova. Qui il dubbio di costituzionalità era sostanzialmente questo: perché è stata prevista la possibilità di adibire a mansioni diverse, non a rischio, non a contatto con il pubblico, solo il personale sanitario che non può vaccinarsi a causa di malattie e non anche chi non vuole vaccinarsi per scelta? La sentenza, scritta dal giudice Petitti, ancora ragionevolezza e proporzionalità di questa apparente discriminazione al rispetto del legislatore italiano (il governo) delle indicazioni delle autorità sanitarie nazionali e internazionali e al fatto che andava sostenuta la campagna vaccinale. Ma anche alla stessa circostanza che si sia distinto tra sanitari (per i quali non era prevista alternativa alla sospensione) e non vaccinati di altre categorie soggette all’obbligo (insegnanti, forze armate), scelta che è si per sé indice di ragionevolezza: chi lavora nelle professioni sanitarie ha più possibilità di diffondere il virus e rischia ammalandosi di bloccare un servizio indispensabile. Anche se quest’ultima considerazione avrebbe suggerito la possibilità, se non l’obbligo, per le strutture pubbliche di utilizzare i medici non vaccinati in altro modo, magari online, proprio per non penalizzare il servizio.

Anche il fatto che le disposizioni sull’obbligo vaccinale siano cambiate nel tempo, adattandosi all’evolvere della pandemia sia per quanto riguarda le categorie soggette all’obbligo vaccinale (prima, a settembre 2021, i lavoratori delle rsa; poi, a novembre, i sanitari, il personale scolastico, militari e polizia, guardie penitenziarie; infine, nel gennaio 2022, universitari, studenti tirocinanti e tutti gli ultracinquantenni) sia per quanto riguarda la durata dell’obbligo (fino al 31 dicembre 2021, poi prolungato al 15 giugno 2022, al 31 dicembre 2022, infine anticipato dal nuovo governo al 1 novembre 2022) è considerato dalla Corte una prova di ragionevolezza e di proporzionalità. Curioso che proprio la fine anticipata dell’obbligo vaccinale per i sanitari, decisa dal governo Meloni come primo atto di chiaro sapore anti vaccini, sia diventata prova dell’elasticità del legislatore, dunque argomento per convincere i giudici della legittimità dell’obbligo.

Una seconda sentenza ha affrontato il ricorso di costituzionalità arrivato dal Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia, che ha messo in dubbio la costituzionalità della sospensione di uno studente non vaccinato tirocinante al policlinico di Palermo rispetto a uno dei tre parametri consolidati per i quali la Corte costituzionale ha in passato ritenuto legittimo l’obbligo vaccinale. Che sono: 1) La tutela della salute non solo del singolo ma della collettività. 2) Le conseguenze negative prevedibili del vaccino «normali e pertanto tollerabili». 3) Il fatto che sia comunque garantito l’indennizo dei danni. Secondo i giudici amministrativi siciliani, che si sono avvalsi di un ampio studio autonomo, nel caso dei vaccini anti Covid la soglia della normalità e tollerabilità degli effetti collaterali è superata. Non in termini quantitativi (le reazioni avverse sono rimaste una percentuale minima), ma in termini qualitativi perché ci sono stati eventi gravi e fatali di per sé quindi non tollerabili; l’obbligo del vaccino anti Covid dunque non rispetterebbe il secondo parametro stabilito dalla Corte a presidio dell’articolo 32 della Costituzione. Ma la risposta del collegio, redatta dal giudice Patrono Griffi, è stata negativa: la Corte non ha mai escluso che la «dimensione individuale» possa venire in conflitto con quella «collettiva». Citando ampiamente da una famosa sentenza del 1996 redatta da Zagrebelsky, la Corte ha richiamato la legittimità di quella «scelte tragiche del diritto» per le quali la società «in vista di un bene» (che allora era l’eradicazione della poliomelite) può accettare «il rischio di un male» (in quel caso l’invalidità di un bambino).

Infine la terza sentenza, redatta dal giudice Barbera, dichiara inammissibile il ricorso del Tar della Lombardia che aveva sollevato il caso della psicologa sospesa dall’Ordine perché non in regola con le vaccinazioni malgrado la libera professionista esercitasse solo online. Qui la proporzione e la ragionevolezza della misura potevano essere dubitate, ma la Corte ha stabilito l’incompetenza della giustizia amministrativa. In questione, in sintesi, ci sarebbe il diritto soggettivo della lavoratrice, che deriva automaticamente dalla legge che ha previsto l’obbligo vaccinale, e non l’interesse legittimo dell’iscritta nei confronti dell’Ordine. In questo caso i problemi sono due. Uno, per il passato, attiene alla decisione: il difetto di giurisdizione non era masi stato sollevato in udienza alla Consulta e neanche (in favore del giudice ordinario) nella causa originaria. Un altro, per il futuro, riguarda le conseguenze della decisione: adesso sarà molto semplice per tanti sanitari sospesi ricorrere al giudice ordinario presso il quale non valgono i rigidi termini della giustizia amministrativa. Magari scegliendo tribunali come Brescia o Padova che si sono dimostrati critici verso alcuni aspetti dell’obbligo vaccinale. Per la questione che stavolta la Corte costituzionale non ha affrontato nel merito potrebbe esserci un secondo tempo.