Ebola è arrivato a Goma, il capoluogo della regione del Kivu Nord della Repubblica Democratica del Congo (RdC). Ad ammalarsi è stato un religioso proveniente in bus da Butembo, una delle città più colpite dall’epidemia. Il paziente è stato accolto al centro medico di Goma gestito da Medici senza frontiere e, dopo la diagnosi, il religioso è stato ri-trasferito a Butembo.

A Goma, al confine con il Ruanda, vive circa un milione di persone: un focolaio in una città così popolosa potrebbe rendere il contagio ancora più difficile da controllare. Ma l’autista e tutti i passeggeri del bus sono stati vaccinati già lunedì e secondo le autorità il rischio di diffusione nella città per ora è limitato.

L’ULTIMO BOLLETTINO parla di 2451 persone contagiate e di 1647 decessi dall’inizio dell’epidemia. Ma, oltre che dal numero dei malati, gli operatori sono preoccupati soprattutto dalla loro localizzazione.

Il timore che Ebola attraversi i confini di regione e stati è altissimo. Il virus è stato isolato anche a Ariwara, a soli settanta chilometri da un altro confine “caldo”, quello con il Sud Sudan. In Uganda e Ruanda i centri di analisi al confine funzionano a pieno ritmo, anche se è difficile vigilare su confini che attraversano savane e foreste.

Aumentano così le pressioni sull’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) affinché dichiari l’epidemia una «Emergenza di salute pubblica di rilevanza internazionale»: nella pratica, si tradurrebbe nella temporanea limitazione della circolazione di persone e merci nella regione.

L’ultima richiesta è arrivata pochi giorni fa dal sottosegretario allo sviluppo internazionale inglese, Rory Stewart. Negli ultimi mesi, l’Oms ha preso in considerazione la questione in tre occasioni, ogni volta con una decisione negativa. Chiudere i confini in questo momento significherebbe limitare la possibilità per le persone di scappare dalla guerra civile a bassa intensità che permane da anni nella regione.

NEL SOLO MESE DI GIUGNO, secondo le Nazioni unite, circa trecentomila persone hanno lasciato le loro case per sfuggire alle milizie, rendendo d’altra parte più difficile vigilare sulla diffusione del virus.

Le condizioni per gli operatori sanitari sono sempre più difficili. La diffidenza nei loro confronti spinge le persone ad evitare i centri sanitari, bersaglio frequente di attacchi da parte delle milizie. Persino in Uganda, dove un mese fa sono stati segnalati tre casi rimasti per ora isolati, sono stati incendiati due centri sanitari anti-Ebola nel distretto di Kasese, al confine con la Repubblica democratica del Congo.

LA STRATEGIA di contenimento prevede la somministrazione di un vaccino che si sta rivelando efficace, ma che ha scorte limitate. Perciò, viene somministrato solo ed esclusivamente alle persone a rischio per aver avuto contatti diretti o indiretti con i malati.
Un altro vaccino ancor più sperimentale sarebbe disponibile in maggiori quantità e l’Oms ne ha raccomandato l’uso. Ma il governo congolese ha deciso di rifiutare l’offerta. Nella regione, infatti, si sono diffuse false credenze per cui sarebbe proprio il vaccino a diffondere la malattia e introdurre un nuovo farmaco, con un protocollo sanitario diverso, rischia di disorientare ulteriormente la popolazione.
Nel frattempo si sta approntando il quarto «Piano di risposta strategico», che dovrebbe coordinare gli sforzi dei vari attori sul campo (governi, Nazioni unite, ong) nella seconda metà del 2019.

DALLA BOZZA DEL PIANO che ha potuto leggere il manifesto si possono desumere alcune informazioni importanti. Innanzitutto, si prevede che nei prossimi mesi l’epidemia non rallenti: gli sforzi pianificati sono “tarati” per fronteggiare oltre 1400 casi nei prossimi 4 mesi, lo stesso ritmo di contagio che si rileva oggi. Per conquistare il consenso della popolazione, il piano propone di finanziare la costruzione di infrastrutture in favore delle comunità colpite da Ebola, tirando a sorte i lavoratori che verranno assunti per lavorare a queste opere.
Gli operatori locali però hanno qualche dubbio sull’efficacia dell’idea. Si rischia di trasformare Ebola nell’unico canale di finanziamento a disposizione di comunità trascurate dal governo centrale e con problemi sanitari ben più radicati di Ebola, come malaria e diarrea.

I PROBLEMI LEGATI al rapporto tra la popolazione e gli operatori sanitari ha convinto alcuni degli attori coinvolti, come la stessa ong Medici senza frontiere, a protestare contro lo scarso coinvolgimento delle comunità e la militarizzazione della risposta sanitaria, che aumenta piuttosto che placare la diffidenza nei confronti dei medici.

Dopo aver subito due attacchi ai propri ospedali, Msf (che lavora solo con fondi propri) ha scelto di lasciare le città di Butembo e Katwa. Ma rimane attiva in altri centri della regione del Kivu Nord, dell’Ituri e nella stessa Goma, dove è stato registrato il caso di ieri.