Prima i veleni personali, poi le minacce di secessione. Le due dinastie politiche che regnano sulle Filippine sono entrate in rotta di collisione. E un altro alleato degli Stati uniti in Asia rischia la frammentazione interna. Da una parte il presidente Ferdinand Marcos Junior, figlio del dittatore disarcionato nel 1986 dalla rivoluzione del Rosario. Dall’altra il predecessore Rodrigo Duterte, fautore della guerra al narcotraffico e soprattutto “signore” di Mindanao, immensa isola meridionale dell’arcipelago filippino.

UN’ISOLA CHE ORA DUTERTE minaccia di separare dal territorio filippino, costringendo il ministro della Difesa Gilberto Teodoro a sostenere che l’esercito è pronto «a garantire la sovranità e l’integrità territoriale». Alcuni ufficiali della sicurezza hanno avvisato che Manila è «pronta a usare la forza» contro qualsiasi tentativo di secessione a Mindanao, in passato più volte teatro di violenze. Il più grande gruppo ribelle della regione, il Fronte islamico di liberazione Moro, ha firmato un accordo di pace con il governo filippino nel 2014, ritirando la propria lotta per l’indipendenza in cambio di una maggiore autonomia nella regione musulmana di Bangsamoro.

MA CHE COS’HA PORTATO alle minacce di secessione? Tra Marcos e Duterte non c’è mai stato amore, ma le divergenze sono rimaste a lungo sottotraccia dopo che la figlia di Rodrigo, Sara, ha deciso di candidarsi alla vicepresidenza proprio con Ferdinand alle elezioni (poi vinte) del 2022. Duterte, che aveva definito Marcos un «leader debole», ha nicchiato.

Già negli scorsi mesi erano emerse però le prime crepe, a partire dalla politica estera. Marcos ha dato un taglio netto alla postura filocinese di Duterte, riportando le Filippine con impronosticabile vigore nel reticolo del sistema di alleanze degli Usa. Prima ha aperto nuove basi militari alle truppe americane, poi ha organizzato le più vaste esercitazioni congiunte di sempre, ospitando la vicepresidente Kamala Harris nei pressi delle isole contese con la Cina. Lo scorso luglio, Duterte è stato ricevuto da Xi Jinping a Pechino. Proprio mentre l’amministrazione Marcos tuonava contro Pechino per i confronti sempre più ravvicinati tra le navi dei due paesi nel mar Cinese meridionale.

NELLE SCORSE SETTIMANE lo scontro si è fatto esplicito. L’amministrazione Marcos ha tagliato il budget per il 2024 riservato alla vicepresidente, dopo che alcuni media hanno scritto che Sara Duterte avrebbe speso circa 2,2 milioni di dollari in soli 11 giorni all’inizio del suo mandato. Si è poi diffusa la voce di una possibile visita di investigatori della Corte penale internazionale in relazione agli omicidi extragiudiziali commessi nella repressione “contro la droga” di Duterte.

Forse non a caso, durante un discorso nel suo feudo di Davao l’ex presidente ha accusato Marcos di essere un «tossicodipendente», sostenendo comparisse in una lista delle autorità antidroga, che però hanno negato. Marcos ha contrattaccato: «Penso che sia colpa del fentanyl. Crea una forte dipendenza e ha effetti collaterali molto gravi». Duterte ha ammesso di aver usato l’antidolorifico dopo un incidente in moto del 2016, ma sostiene di aver smesso.

L’EX PRESIDENTE ha poi minacciato la secessione di Mindanao qualora Marcos dovesse continuare a sostenere di voler emendare la costituzione. Approvata nel 1987, subito dopo la cacciata del padre dittatore, prevede il limite di un solo mandato presidenziale di sei anni. Ma, secondo Duterte, l’attuale leader vorrebbe emendare la costituzione per rimuovere il vincolo.

Marcos nega: «Le riforme costituzionali riguardano solo le questioni economiche, niente di più» ha detto giovedì in un comizio a Manila, lanciando la campagna Bagong Pilipinas (Nuove Filippine). Slogan che ai critici ricorda Bagong Lipunan (Nuova Società), il movimento politico del padre dittatore. «Il nostro territorio nazionale non sarà diminuito nemmeno di un centimetro quadrato», ha avvisato Marcos, mentre l’esercito sposta nuove risorse nelle isole più vicine allo Stretto di Taiwan.