Dall’Abbazia di Valdicastro, a mille metri nel cuore del Parco della Gola della Rossa e di Frasassi e ai piedi del monte San Vicino, uno scenario western di pascolo, grandi distese verdissime e allevamenti di cavalli, l’ultima dimora dell’abate Romualdo, scendo cauto in auto verso Serra San Quirico. Dopo una serie di tornanti, che scoprono vallate larghe di cordigliere verdissime e rigogliose, vaste praterie, proseguo verso il piccolo borgo storico di Genga dopo aver superato l’ingresso delle grotte carsiche. Lì si sono formate sculture naturali di grande fascino, stalattiti e stalagmiti scolpite dall’acqua che colpisce la roccia goccia a goccia, uno stillicidio che dura da 190 milioni di anni.

QUESTA È TERRA DI SENTIERI E LUOGHI SACRI, che furono nell’antichità di eremiti e monaci, come il tempio neoclassico in travertino detto di Valadier, ma anche di allevatori arcaici, mandriani indomiti, apicultori appassionati come Massimiliano Bigiarelli, giovane geologo che in località Piano di Rocchetta ha creato dentro un bosco incontaminato il primo apiario olistico delle Marche, una struttura in legno dove pratica l’apiaromaterapia, una sorta di sauna olfattiva creata dall’attività delle arnie, in modo che l’aria degli alveari possa svolgere una funzione curativa dell’apparato respiratorio. Ma è anche un luogo ricco di una fauna sorprendente.

Tra le 105 specie di uccelli che nidificano nel Parco e popolano questo paesaggio rigoglioso di mezza montagna e bosco di carpino nero e roverella, anche l’aquila reale, il falco lanario, il falco pellegrino, il biancone e l’astore. Dal parcheggio fuori le mura di Genga si prende una stretta strada sterrata scendendo fin quando non si incrocia una piccola casa, sede del Wwf, dove incontro Jacopo Angelini, uno dei cinque volontari dell’associazione che gestisce il Centro, tra i più importanti in Italia per il recupero dei grandi rapaci. Nel piccolo tinello c’è la telecamera con la quale viene controllata una mangiatoia dove d’inverno i volontari mettono carne per nutrire i rapaci.

POCHI GIORNI FA HANNO LIBERATO una poiana, prima inanellata dagli ornitologi, mentre stanno aspettando l’arrivo di un’aquila reale, «dovrebbero portarla dal Centro recupero di Monte Adone, vicino a Bologna, ma da cinque anni ne seguiamo una che si chiama Gaia, alla quale abbiamo fissato un GPS satellitare». Il grande rapace era stato ferito all’interno di questo parco dal fuoco di un bracconiere, «fortuna che i pallini erano piccoli» mi spiega con mitezza, «non le hanno leso gli organi vitali, ce l’hanno consegnata le guardie forestali e l’abbiamo tenuta un mese qui in voliera, curata, grazie ai veterinari di Fabriano, l’abbiamo liberata proprio nella zona dove è nata, ha trascorso sei mesi con gli adulti poi è ha spiccato il volo e iniziato a viaggiare per tutto l’Appennino, si è spinta fino al Velino Sirente, il Parco d’Abruzzo, Lazio, Toscana e adesso è nelle Foreste Casentinesi a Camaldoli».

Jacopo tutte le sere controlla emozionato il GPS e può vedere dov’è stata nelle ultime 24 ore, dove ha dormito, quello che sta facendo e dove sta volando, lui che studia le aquile reali dell’Appennino umbro-marchigiano da trent’anni, collabora con molte università e istituti di ricerca, anche all’estero, è stata la prima monitorata in Italia con questo sistema, ma adesso ce ne sono anche altre studiate a distanza nel Parco dello Stelvio. «L’aquila è anche il simbolo della città di Genga, un’aquila imperiale, è un simbolo araldico di forza, potenza», racconta, «mi ha sempre affascinato sin da bambino la protezione della natura e degli animali rari come i rapaci».

Qui nel Parco, 10 mila ettari di territorio, sono tre le coppie di nibbio reale che nidificano tra Genga e Arcevia, poi una di aquile, «da pochi giorni è nato un piccolino» dice, «nascono tra il 10 e il maggio e s’involano a fine luglio», precisa, «da adulti hanno un’apertura di ali di due metri e venti, è una specie protetta perché sono importanti per gli equilibri naturali, tutelano gli ecosistemi in virtù del fatto che predano lepri, fagiani, piccoli di capriolo, di cinghiale, e tengono basso il numero di queste popolazioni, in particolare del cinghiale, una specie proveniente dall’Ungheria, incrociata con i maiali, liberata dai cacciatori negli anni ’70, che si riproduce in numero molto alto».

Mi spiega che sono animali antichi, derivano dai dinosauri e si sono evoluti milioni di anni fa, molto forti, tenaci, «riescono a resistere anche a una temperatura di meno trenta, meno quaranta gradi sotto lo zero, hanno una vista che è dieci volte più potente della nostra, come un binocolo 10x, riescono a spingersi fino a 8000 metri, Gaia ha volato in scivolata tutto l’Appennino come un aereo di linea», racconta di questa creatura che lo affascina di cui spia ogni giorno la vita solitaria sui cieli del centro Italia.

Mi parla di questo animale molto demonizzato, di cui si sa poco, che in natura quando cerca di catturare le prede selvatiche le riesce solo un tentativo su dieci, «prede e predatori si sono evoluti insieme, c’è un equilibrio, solo l’uomo distrugge tutti gli animali che caccia» dice mentre ci allontaniamo dalla casa e mi fa vedere le gabbie poco lontane, sotto il folto del bosco, «le aquile mantengono anche le loro prede, le migliorano geneticamente» mi spiega, «predano solo individui più vecchi, malati, anziani, i più giovani e inesperti, si riproducono solo quelli che si adattano meglio all’ambiente, dove non ci sono le aquile sorgono seri problemi negli equilibri naturali».

QUANDO JACOPO RECUPERA I VOLATILI li mette al riparo nelle gabbie, in un luogo isolato dove non sentono rumori, perché l’animale selvatico può anche ferirsi, farsi del male in una voliera, «anche se ha un artiglio centrale lungo cinque centimetri, ci considerano dei predatori, un’aquila reale ha paura di noi». Anche il lupo teme moltissimo l’uomo, e nonostante da 150 anni non ci siano stati attacchi verso di noi continua a essere demonizzato: «in questi anni abbiamo curato molti lupi, quando li recuperiamo tremano come foglie e se la fanno addosso, perché sono animali che noi perseguitiamo da secoli».

Nel parco ci sono solo due gruppi famigliari, 15 esemplari circa. Un altro uccello molto raro è il falco lanario, quasi estinto, e qui si trova la coppia più a nord di una specie sudafricana che arriva solo fino alle Marche, la cui roccaforte è la Sicilia, dove ce ne sono oltre 30 coppie, «vengono rubati sul nido perché sono molto appetibili negli Emirati arabi».

Jacopo continua a parlarmi di Gaia, l’aquila reale nata su una gola a tre chilometri da Val di Castro, «negli ultimi quattro anni ha volato facendo 17 mila km in tutto l’Appennino», dice con enfasi, «come le oche himalayane che superano le vette oltre gli 8000 metri quando per migrare si spingono su spazi siderali, volando dal Tibet fino all’India».