Israele ha sorvegliato per mesi la casa di Rafaa Salameh, capo del Battaglione Khan Yunis di Hamas, in attesa che vi arrivasse il comandante militare Mohammed Deif per poi lanciare le bombe, Made in Usa, che sabato scorso hanno ucciso almeno 90 persone, per metà donne e bambini, nella «zona sicura» di Mawasi. Lo scriveva ieri il New York Times. Congetture, indiscrezioni di stampa, ipotesi legate alla sorte dell’uomo che ha concepito e realizzato la struttura militare del movimento islamico che, dice Israele, probabilmente è rimasto ucciso assieme a Rafaa Salameh e che per Hamas invece è scampato all’ennesimo tentativo di assassinarlo. Due versioni irrilevanti di fronte ai feriti ai quali i medici dell’ospedale Nasser di Khan Yunis stanno cercando di salvare la vita e di evitare che si allunghi l’elenco dei palestinesi fatti a pezzi dal bombardamento israeliano su Mawasi. Agenzie umanitarie e Ong, come Msf, lanciano appelli ad aiutare il Nasser, allo stremo, a sostenere lo sforzo per curare i feriti.

«L’odore del sangue si diffonde in tutto il complesso medico mentre sono interrotti i sistemi di ventilazione per mancanza di elettricità e carburante. Ho assistito ad alcune delle scene più orribili viste durante i nove mesi che ho trascorso nella Striscia. Il Nasser ha accolto più di un centinaio di casi gravi e i pazienti venivano curati a terra, senza disinfettanti», ha detto Scott Anderson, il funzionario dell’Onu che domenica è stato nell’ospedale.

Non passa giorno senza che da Gaza arrivino notizie di nuove stragi. L’ultima ieri, ancora una volta in una scuola che ospitava sfollati nel campo di Nuseirat. L’esercito israeliano sostiene che nelle scuole e nei magazzini dell’Unrwa (Onu), Hamas svolgerebbe l’addestramento dei nuovi combattenti. Gli aerei da guerra hanno bombardato la scuola Abu Oreiban uccidendo 13 persone e ferendone altre 70. Per il 70% sono donne e bambini, ha detto il direttore dell’ospedale Al-Awda dove sono stati portati gran parte dei feriti. Philippe Lazzarini, il commissario generale dell’Onu, è tornato a denunciare gli attacchi contro le sedi della sua agenzia. «Il nostro quartier generale si è trasformato in un campo di battaglia. Un altro episodio di palese disprezzo del diritto umanitario internazionale. Le strutture delle Nazioni unite devono essere protette in ogni momento. Non devono mai essere utilizzate per scopi militari o di combattimento», ha affermato Lazzarini che in apparenza non si è riferito solo a Israele ma anche ad Hamas.

I morti di Nuseirat, campo profughi da settimane bersaglio di attacchi e raid, si aggiungono ai 141 tra sabato e domenica – a Sheikh Radwan, Shabiyah, il centro di Gaza city, Maghazi e Bureji – secondo i dati del ministero della sanità che ha aggiornato il totale dei palestinesi uccisi dal 7 ottobre a 38.584. A Rafah, obiettivo dell’avanzata israeliana sul confine tra Gaza e l’Egitto, i bombardamenti sono ripresi con intensità. Le forze israeliane hanno fatto saltare in aria diverse case. Nelle strade sono stati recuperati i corpi in decomposizione di 10 palestinesi.

Il comune di Deir Al Balah – città non ancora invasa totalmente da Israele ma dove si stanno intensificando i bombardamenti aerei – ha comunicato di non essere più in grado di fornire acqua potabile a 700.000 abitanti e sfollati perché si è esaurito il carburante necessario per tenere in moto i generatori di ciò che resta della rete di distribuzione. Appena due giorni fa l’Unrwa aveva ricordato al mondo che ogni mattina gli abitanti di Gaza si mettono in fila per ore sotto il sole cocente per riempire taniche con l’acqua potabile. «Dopo aver preso l’acqua, sono costretti a percorrere lunghe distanze trasportando pesi notevoli nella calura estiva…questa routine estenuante si ripete più e più volte», ha scritto l’agenzia dell’Onu sui profili social.

In Cisgiordania, a Walaja, tra Gerusalemme Est e Betlemme, le ruspe israeliane hanno demolito ieri quattro case «illegali» lasciando senza un tetto 50 persone, tra cui alcuni minori. Ir Amin, Peace Now e gli attivisti, ricordano che i palestinesi spesso sono costretti a costruire senza permesso perché ricevono annualmente pochi permessi edilizi dalle autorità israeliane.

Forze militari tra domenica e lunedì hanno lanciato nuovi raid nei centri abitati in Cisgiordania, con decine di arresti. In modo particolare a Qabatiya (Jenin) dove sono scoppiati scontri a fuoco tra soldati e palestinesi, e a Turmus Ayya.

Intanto il governo Netanyahu attende con preoccupazione il 19 luglio quando dovrebbe arrivare la decisione della Corte internazionale di giustizia dell’Aja, sull’occupazione militare israeliana cominciata nel 1967 dei Territori di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. Secondo il giornale Yediot Ahronot, la Corte – che nel frattempo valuta l’accusa presentata dal Sudafrica contro Israele di genocidio a Gaza – potrebbe dichiarare «illegale» l’occupazione che impedisce l’autodeterminazione del popolo palestinese e apporta un notevole cambiamento demografico attraverso la costruzione di colonie. La Corte potrebbe chiedere che Israele lasci subito la Cisgiordania aggravando i problemi di Tel Aviv sulla scena internazionale. Di recente la Procura dell’altra Corte dell’Aia – la penale internazionale – ha chiesto mandati di arresto per crimini di guerra contro il premier israeliano Netanyahu e il ministro della Difesa Gallant.