In Afghanistan, continua l’eccidio degli hazara e la branca locale dello Stato islamico alza il tiro, scegliendo il Paese centro-asiatico come area cruciale della campagna globale «Assalto per vendicare i due Sceicchi»: in soli 3 giorni, sono 42 gli attacchi registrati in 9 diversi Paesi.

SONO QUATTRO LE PROVINCE afghane – Kabul, Nangarhar, Kunduz, Balkh- in cui ieri ci sono stati attacchi militari, tre dei quali rivendicati dalla Provincia del Khorasan, la branca locale dello Stato islamico che solo pochi giorni si è assunta la responsabilità dei 10 razzi katiuscia piovuti su Termez, in Uzbekistan.
Ieri, l’attacco più sanguinoso è avvenuto nel capoluogo della provincia settentrionale di Balkh, Mazar-e-Sharif, ancora una volta contro la comunità degli hazara, la minoranza sciita che soltanto due giorni fa, a Kabul, piangeva le vittime degli attentati contro due istituti scolastici nel quartiere di Dasht-e-Barchi.

A MAZAR-E-SHARIF, una borsa carica di esplosivo è stata fatta saltare in aria all’ora della preghiera in una delle principali moschee frequentate dagli sciiti, la Seh Dokan. Pur incerto, il bilancio è drammatico. Secondo quanto riporta il quotidiano online Etilatrooz, i morti registrati nel solo ospedale Abu Ali Sina-e-Balkhi Hospital sarebbero 37, più di 60 i feriti. Le fonti ufficiali indicano numeri più bassi: i Talebani controllano l’informazione, ostacolando il lavoro dei giornalisti, minacciando, ridimensionando la portata degli attentati, che inficiano la loro pretesa di garantire sicurezza e stabilità.

Oltre a quello di Mazar-e-Sharif, che colpisce in modo esplicito la comunità degli hazara, sciiti considerati apostati dallo Stato islamico e strumento per innescare un conflitto settario nel Paese, la Provincia del Khorasan ha rivendicato anche l’esplosione avvenuta a Sardawar, nella provincia di Kunduz, contro un pulmino che trasportava lavoratori dell’aeroporto. Sarebbero 11 le vittime, tra morti e feriti.

Quattro sarebbero invece i Talebani uccisi nell’esplosione avvenuta nella provincia orientale di Nangarhar, quando una bomba piazzata sul lato della strada nel distretto di Khogyani ha colpito un mezzo dei Talebani: il terzo attacco rivendicato dalla Provincia del Khorasan. Ignota la matrice dell’esplosione che a Kabul ha ferito invece due bambini, ieri mattina.
Il neo-eletto Relatore speciale per i diritti umani in Afghanistan, Richard Bennett, ha condannato l’attentato di Mazar-e-Sharif, di cui «la comunità hazara è di nuovo una vittima», aggiungendo che «attacchi selettivi e sistematici su scuole e moschee affollate richiedono un’immediata inchiesta».

HANNO PARLATO DI «UN CRIMINE contro l’umanità» gli unici due pezzi grossi della vecchia politica rimasti a Kabul, l’ex presidente Hamid Karzai e Abdullah Abdullah, già a capo dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale. A parlare esplicitamente di genocidio è invece Rahmatullah Nabil, già a capo della Nds, i servizi segreti della defunta Repubblica islamica, collassata lo scorso agosto quando i Talebani hanno conquistato Kabul.

Nabil ha messo in guardia gli afghani dalle cospirazioni che mirano a dividere la popolazione, alimentando il settarismo. Mentre per il portavoce dei Talebani e vice-ministro di fatto dell’Informazione dell’Emirato, Zabihullah Mujahid, la responsabilità è di «circoli scollegati dalla società afghana».

Chiaro, il pericolo che corre la comunità hazara. Ieri è stato diffuso un appello rivolto tra gli altri al presidente Biden e al segretario generale dell’Onu Guterres, firmato da esponenti della società civile, «difensori dei diritti umani e attivisti hazara», tra cui l’ex capo dell’Afghanistan Independent Human Rights Commission Sima Samar e l’ex governatrice di Bamiyan, Habiba Sarabi.

SI CHIEDE CHE L’ONU e il Consiglio di sicurezza «fissino un incontro sull’Afghanistan e in particolare sulla protezione del popolo hazara che subisce un genocidio», che venga sostenuto il lavoro del Relatore speciale Bennett, che il Parlamento europeo riconosca formalmente il genocidio in corso, che la Corte penale internazionale cominci il suo lavoro in Afghanistan. E che inizi una discussione tra gli afghani sul come «prevenire questi crimini» e dare uguale rappresentanza a tutte le comunità.