La prassi è sempre quella. Ci si incontra, per lo più virtualmente a causa del virus, si firma un accordo e si svolge una conferenza stampa nella quale la Cina non viene nominata. Ma Pechino è l’elefante nella stanza, o meglio il dragone nell’oceano. Giappone e Australia hanno siglato ieri uno «storico» trattato che rafforza la loro cooperazione difensiva, un un anello di congiunzione tra Aukus (al quale Tokyo non partecipa) e Quad.

L’ACCORDO è stato ufficializzato a margine di un summit virtuale tra il primo ministro australiano Scott Morrison e l’omologo giapponese Fumio Kishida. L’accordo di accesso reciproco consente ai militari di Canberra e Tokyo di entrare liberamente nei rispettivi paesi per esercitazioni e altre ragioni strategiche. Con l’abbattimento di burocrazia e barriere legali negli scambi militari, l’obiettivo è raggiungere la piena interoperabilità tra i due eserciti.

L’Australia è il primo paese a siglare un trattato di questo tipo col Giappone dopo gli Stati Uniti. «Il Giappone è il nostro partner più stretto in Asia», ha detto Morrison, che non ha mancato di elargire un afflato retorico a un accordo «che riflette i nostri valori condivisi, il nostro impegno per la democrazia e i diritti umani, il libero commercio e un Indo-Pacifico libero e aperto».

Nemmeno Kishida ha citato la Cina, ma il riferimento appare chiaro nelle parole dell’ambasciatore giapponese a Canberra, Shingo Yamagami, il quale ha detto che «alla luce del deterioramento della sicurezza regionale, Giappone e Australia devono rafforzare la deterrenza». Tra i problemi più o meno comuni c’è chi cita anche la Corea del Nord, che due giorni fa ha lanciato un nuovo missile balistico.

QUANTO È CAMBIATO dai tempi in cui la timidezza australiana aveva fatto diventare l’onda del Quad semplice «schiuma marina», come l’aveva definito il ministro degli Esteri cinese Wang Yi. Quanto è cambiato dai tempi in cui le tensioni sulle isole Senkaku/Diaoyu erano ritenute da Canberra un problema bilaterale nel quale non voleva essere trascinata. Dalla visita del 2014 di Shinzo Abe le relazioni sono diventate sempre più profonde. Più la Cina diventava assertiva e più Giappone e Australia stringevano i legami, prima a livello commerciale e poi a quello politico e strategico.

Tokyo importa in modo ingente energia e materie prime da Canberra, finanziando in cambio infrastrutture spesso orientate alla transizione energetica. I due governi sono entrati nella Rcep per bilanciare la presa cinese sull’immensa area di libero scambio. La guerra commerciale lanciata da Pechino contro Canberra e l’abortita alba della «nuova era» nei rapporti con Tokyo hanno accelerato la riorganizzazione geopolitica dell’area.

GIAPPONE E AUSTRALIA non sono mai stati così vocali sui dossier che riguardano la Cina come negli ultimi mesi. A partire da Taiwan. Abe ha garantito che, in caso di attacco a Taipei, Tokyo entrerebbe in azione.

Anche Morrison non si è esentato dal parlare di un argomento che fino a qualche tempo fa era tabù. Pechino si sente, o almeno si rappresenta, accerchiata tra lo sviluppo di sottomarini nucleari garantito dall’Aukus e dalla volontà di costruire una Nato dell’Asia Pacifico di cui il Quad e questo ultimo accordo bilaterale rappresenterebbero i sintomi.

Un accordo che potrebbe avere effetti più immediati e duraturi di altre piattaforme nei quali sono coinvolti gli Usa. Dopo l’era dell’imprevedibilità di Donald Trump, i paesi della regione stanno cercando di costruire un’impalcatura regionale che possa restare in piedi anche nel caso di una nuova ritirata a stelle e strisce.