Le abbiamo viste per le strade, con i volti colorati di rosso e di bianco. Le abbiamo viste in piazza quando il vento portava ancora il profumo dei gelsomini. Adesso di quel profumo non è rimasta che una debole scia. Perché se c’è una cosa di cui le donne tunisine sono certe è di essere da sempre uno strumento per strizzare l’occhio all’Occidente.

«Bourguiba ha visto nei diritti delle donne un mezzo per creare “l’eccezione tunisina”, Ben Ali un modo per adeguarsi agli standard internazionali, mentre per i rivoluzionari hanno rappresentato un ottimo espediente per dare al mondo un’immagine il più possibile democratica del Paese», ci spiega Ahlem Bousserwel, femminista, attivista dell’Atfd, l’Associazione tunisina donne democratiche, e osservatrice in Tunisia e in Libia per l’uguaglianza di genere.

Un femminismo di regime, dunque, che ha caratterizzato il piccolo Stato nordafricano fin dalla sua indipendenza. «In realtà, almeno su carta, la Tunisia è molto più avanzata dei suoi vicini sulle tematiche femminili, basti pensare alla legge elettorale, alle misure contro la violenza sulle donne o al dibattito sull’eredità», continua.

Ma troppo spesso si tratta di diritti formali e non sostanziali, plasmati per non tradire lo spirito liberale che ha guidato la “Rivoluzione della dignità”. «Quanto fatto fino adesso non è ancora abbastanza», dice Bousserwel.

E dalle elezioni non arrivano segnali significativi che facciano pensare a un capovolgimento dello status quo. Dei ventisei candidati solo due sono donne: Abir Moussi, che è apertamente contro la legge che dovrebbe garantire equità e uguaglianza nella successione, e Selma Elloumi, ex ministra del Turismo.

Due figure lontanissime dalle donne tunisine e dalla loro quotidianità. «I diritti della componente femminile del Paese non sono nell’agenda di nessun candidato. Nemmeno i media locali danno spazio alle questioni di genere. Non sono una priorità né per il mondo della politica che dell’informazione», ha detto.

E mentre la campagna elettorale si focalizza sempre più su tematiche populiste, tra hate speech e crisi economica, nessuno degli aspiranti alla poltrona presidenziale sembra essere riuscito a partorire un programma chiaro che analizzi e si faccia carico delle forze profonde che agitano la società tunisina.

«L’uguaglianza è un principio sancito dalla Costituzione. Ma quanto raggiunto fino a ora è messo a serio rischio da chi pone in discussione i diritti umani, attraverso una narrazione che punta alla pancia degli elettori senza fornire un quadro limpido delle proprie intenzioni politiche».

È L’elettorato stesso, quindi, a minacciare il dibattito sulla condizione delle donne, nonostante le avanzate leggi in materia, che viaggiano, però, più veloci del modo di pensare dei tunisini. D’altro lato i 26 candidati sanno che non possono non lusingare le elettrici, tanto che l’Alta autorità indipendente per le elezioni ha definito un «obbligo» discutere delle tematiche femminili durante la campagna elettorale.

«Peccato che si tratti dell’ennesima strumentalizzazione: le donne sono mezzi per raggiungere un fine, non solo religioso ma anche economico e politico. Lo sapeva bene Essebsi che si è presentato come il presidente delle donne e lo sanno anche i più intransigenti fra i candidati», racconta al manifesto Hazar Abidi, femminista e giornalista del giornale indipendente Inkyfada.

Così, per aggirare l’ostacolo, durante la campagna elettorale si è preferito parlare piuttosto di «dignità della donna». Un concetto molto lontano dall’idea di diritto inteso all’occidentale. «Nessuno oserebbe mai affermare di essere contro il dibattito sulla questione femminile, perché anche le donne sono elettrici. È qui che sta il paradosso – continua Abidi – Ad esempio Kaïs Saïed, pur essendosi espresso contro il principio di uguaglianza ed equità fra uomo e donna, è tra i candidati più popolari anche fra le donne perché rappresenta tutto ciò che è contro il sistema».

Per Imen Ben Mohamed, 34 anni, deputata di Ennahda, e membro dell’Assemblea costituente, la questione femminile non è al centro del dibattito politico perché i diritti sono ormai dati per acquisiti.

«La componente rosa della società è da sempre molto forte e non è disposta a farsi sottomettere. Vantiamo proposte di legge tra le più avanzate nell’area e abbiamo dimostrato come le donne giochino un ruolo chiave nel processo di democratizzazione – spiega – La bussola che ci ha guidato in questo processo è stato il concetto di dignità, non solo a livello socio-economico ma anche sul piano delle libertà individuali. Sono ancora molte le piste su cui dobbiamo lavorare. La vera sfida adesso è quella della rivoluzione culturale».