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Donbass allo stremo, Kiev resiste ma la controffensiva è un’utopia

Donbass allo stremo, Kiev resiste ma la controffensiva è un’utopiaCivili tra le macerie a Slovjansk – Ap/Andriy Andriyenko

Crisi ucraina Dopo il Lugansk, anche il Donetsk è vicino alla resa. A Slovjansk e Kramatorsk arrivano mezzi e uomini per la battaglia finale, su una regione che pare trasformata in una terra vulcanica

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 7 luglio 2022
Sabato AngieriKRAMATORSK

Il Donbass in questi giorni è una terra vulcanica. Dovunque ci si sposti alte colonne di fumo nero e bianco si levano dal suolo e a volte ristagnano a mezz’aria impedendo la vista. Bakhmut ieri era come Slovjansk il giorno prima, Avdiivka come Siversk, Slovjansk non ha pace da giorni e Kramatorsk continua a tremare.

Negli ultimi due giorni altri nove civili sono morti e più di 50 sono rimasti feriti. Come possano parlare di controffensiva ucraina in Donbass alcuni media resta un mistero. È un fatto che il ministero della difesa di Kiev ha diffuso una nota in cui si legge che le truppe ucraine hanno inflitto «perdite significative» ai nemici nei pressi di Verkhnokamianske, Belogorivka e Gryhorivka impedendone l’avanzata. Così come, sempre secondo i difensori, i russi sarebbero stati bloccati a Dolyna, in direzione di Slovjansk.

NOTIZIE DA INTERPRETARE, semmai, come la dimostrazione che l’esercito ucraino non è in rotta e riesce ancora a colpire gli invasori dalla distanza rallentandone l’avanzata. Ma chiunque sia in Donbass in questi giorni sa che è prematuro, se non palesemente fuorviante, parlare di «controffensiva». Anche Toretsk, dove potrebbe attestarsi l’ultima propaggine dello sbarramento ucraino che parte da Slovjansk, ieri è stata colpita da un missile balistico e almeno tre persone sono ancora sotto le macerie.

A Bakhmut le truppe del Cremlino continuano a colpire un’area di campi brulli fuori città, verso nord. Tra quelli che fino a pochi giorni fa erano campi di grano giallo e ora sono macchie nere all’orizzonte, ci sono diverse file di alberi di quelle che servono a delimitare i confini degli appezzamenti. Probabilmente sotto quelle chiome si nascondono anche postazioni di lancio ucraine ed è per questo che i russi non si risparmiano.

In quella stessa area domenica abbiamo assistito allo sgancio di un ordigno a caduta libera da un Sukhoi dell’aviazione russa. Poco dopo tutta la periferia di Bakhmut era sovrastata da un fungo di polvere e fumo e, per ore, l’ennesimo vulcano temporaneo è rimasto attivo.

POCO PIÙ A NORD, lungo la strada che passa da Soledar e arriva a Siversk, diversi campi sono in fiamme e i boati dell’artiglieria non tacciono per più di mezz’ora. Nei pochi tratti all’ombra delle macchie boschive gli ucraini ripiegano dopo aver risposto al fuoco o dopo essere usciti in perlustrazione. Si incontrano carri armati in manovra, obici e cannoni, camion per lo spostamento di truppe.

Dal centro del villaggio, dove i pochi civili rimasti vivono in rifugi di fortuna o nelle cantine dei palazzi, parte una strada sterrata che arriva a Lysychansk. Le truppe russe sono a sette chilometri, poco dopo Verkhnokamianske, nei pressi del vecchio confine tra l’oblast di Donetsk e quello di Lugansk, ora occupato interamente dagli invasori.

L’impressione è che qui le forze ucraine non abbiano approntato difese adeguate a respingere un’eventuale avanzata e che quindi in ogni momento potrebbe essere ordinata la ritirata. Intanto a Slovjansk e Kramatorsk continuano ad arrivare mezzi e uomini per prepararsi alla battaglia definitiva per l’ultimo territorio del Donbass ancora in mano ucraina.

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