Ciò che ha viaggiato segretamente da Rotondella all’aeroporto militare di Gioia del Colle sono 1050 grammi di ossido di uranio arricchito al 91%, meglio definito come uranio 235. Lo ha dichiarato, durante il tavolo della trasparenza presso la Regione Basilicata, l’ingegnere Serverino Alfieri, responsabile del decommissioning dei siti nucleari del centro sud della Sogin. La Sogin smentisce le dichiarazioni del viceministro agli interni, Filippo Bubbico, che il giorno prima aveva rilasciato un’intervista nella quale cercava di far cadere tutte le responsabilità sui giornalisti autori dello scoop, rei di aver svelato un segreto che avrebbe pregiudicato il rimpatrio delle barre di Elk River negli Usa. La verità, o almeno quella fornita dalla Sogin, è che i rifiuti radioattivi (le barre statunitensi) rimarranno nel centro Itrec della Trisaia fino a quando non si provvederà alla costruzione del sito unico italiano di scorie nucleari e che gli accordi di Seul fra il governo Monti e gli Usa, fino ad ora secretati, prevedono che dalla Trisaia venga trasferito solo il materiale fresco.
Si riprendono il combustibile, ci lasciano le scorie: dei 522 kg di materiale radioattivo presente a Rotondella solo 12 kg di uranio arricchito torneranno negli Usa. La Sogin ha assicurato la popolazione sui metodi di confezionamento del cargo nucleare trasportato, che si sono svolti sotto la supervisione di ispettori dell’Ispra, e ha confermato che l’operazione «è stata delineata» dall’intelligence statunitense, con la collaborazione della Prefettura e del ministero degli Interni. L’ing. Alfieri prima ha dichiarato che «il piano di emergenza non richiedeva alcuna informativa agli enti locali, se non in caso di incidente». Poi, di fronte alle domande delle associazioni ambientaliste e di alcuni sindaci del metapontino, ha dovuto precisare che le competenze della Sogin si fermano all’interno del centro Itrec. Una precisazione banale, dal momento che tutti sanno che la responsabilità del trasporto riguarda la prefettura e il ministero, come a nessuno può sfuggire l’inutilità di un piano di emergenza che prevede la comunicazione agli enti locali e alla popolazione solo in caso di incidente. Non pervenuti al tavolo della trasparenza erano proprio il prefetto e il viceministro lucano Filippo Bubbico, quelli che dovevano chiarire ai sindaci e ai cittadini i rischi per la salute, le misure di sicurezza adottate e quelle eluse.
Nei giorni scorsi l’Arpa lucana, come anche quella pugliese, ha misurato i livelli di radioattività lungo il tragitto, ottenendo risultati tranquillizzanti, ma mentre l’ente pugliese è stato sollecitato dalla Procura di Bari, che ha aperto un’inchiesta per verificare se ci sono state dispersioni radioattive durante il trasporto, in Basilicata la procura ha messo sotto inchiesta i giornalisti che hanno svelato il segreto.
Aveva iniziato Bubbico, dalle pagine della Gazzetta del Mezzogiorno, ad aizzare l’opinione pubblica contro i giornalisti, divulgando la falsa notizia che la «caciara» scatenata avrebbe indotto gli «americani» a non riprendersi le barre di Elk River. Contemporaneamente, dal Quotidiano di Basilicata anche il senatore lucano a 5 Stelle Vito Petrocelli, in contraddizione con il blog di Beppe Grillo, se l’era presa con gli autori dello scoop, colpevoli a suo dire di non aver allertato la popolazione prima del fatto e di aver agito cinicamente da freelance.