A sei mesi dall’annuncio del ritiro dei marines statunitensi dal nord-est siriano (realizzato solo in parte, con una porzione di contingente andato a «proteggere» i giacimenti petroliferi di Deir Ezzor), ieri i vertici della diplomazia Usa sono comparsi a sorpresa al valico di Bab al-Hawa, tra Turchia e Siria.

A metà tra Aleppo e Idlib, con il cantone curdo-siriano di Afrin teatro del riuscito progetto di ingegneria turco (fuori i curdi, dietro gli islamisti sunniti) a soli 30 chilometri, l’ambasciatrice Usa all’Onu Kelly Craft e l’inviato speciale americano per la Siria James Jeffrey si sono fatti fotografare in compagnia dei Caschi bianchi, controversa protezione civile finanziata da Golfo, Gran Bretagna e Stati uniti e accusata di legami con i gruppi qaedisti siriani.

È a Bab al-Hawa che i due hanno annunciato l’intenzione della Casa bianca di inviare 108 milioni di dollari in aiuti ai civili siriani per far fronte «alla crisi causata dal regime di Assad e dalle forze russe e iraniane».

Non solo. Jeffrey ha promesso munizioni alla Turchia in quanto «alleato della Nato»: «Faremo in modo che questo equipaggiamento sia pronto e utilizzabile». Poche ore prima l’aviazione turca abbatteva a Ma’aret al-Nu’aman un altro caccia siriano, un jet L-39, dopo i due colpiti domenica.

La promessa di sostegno militare statunitense supera quanto dichiarato finora, a fronte di differenze di vedute tra il Pentagono e Jeffrey: alla richiesta della Turchia di avere i sistemi di difesa Patriot, il Dipartimento della Difesa non si era esposto.

Ora nuove armi potrebbero incendiare ancora di più l’operazione turca Spring Shield e la guerra in corso tra Ankara e Damasco nella provincia nord-ovest di Idlib, mentre dalla capitale turca l’ambasciatore americano Satterfield ventilava l’ipotesi di accogliere la richiesta di Patriot.

Intanto, in attesa dell’incontro di domani tra il presidente russo Putin e il turco Erdogan, su Mosca cade l’inchiesta delle Nazioni unite: per la prima volta la Russia è accusata di crimini di guerra in Siria per i «bombardamenti indiscriminati», compiuti insieme al governo siriano, sulle comunità della provincia di Idlib, una durissima offensiva che ha portato alla fuga di 948mila persone dallo scorso dicembre. Mosca rigetta le accuse, riferite a due specifici raid contro civili (rispettivamente 43 uccisi e 10).

Nello stesso rapporto la Commissione d’inchiesta Onu accusa Hayat Tahrir al-Sham (l’ex al Nusra, il braccio siriano di al Qaeda) e i gruppi islamisti che gli ruotano intorno di esecuzioni extragiudiziali di giornalisti e attivisti, abusi su donne e minoranze, utilizzo di bambini soldato. Infine la Turchia: l’operazione nel Rojava, dice l’Onu, ha provocato lo sfollamento di 100mila civili.