«Dio, patria e famiglia». Si potrebbero riassumere così le nuove modifiche alla Costituzione russa proposte lunedì da Vladimir Putin. L’iter per rimaneggiare la principale legge della Federazione è assai semplice e prevede la possibilità che il presidente da monarca illuminato intervenga in ogni fase della discussione. Così Putin dopo aver annunciato di voler sottomettere la legislazione internazionale a quella russa, aumentato a 25 gli anni di residenza continuativa nel paese per i cittadini che intendano candidarsi alla presidenza, accresciuto in qualche misura i poteri del parlamento e aggiunto nuove funzioni al Consiglio di Stato di cui eventualmente diverrà il capo dopo la scadenza del 2024, ha voluto anche dare un aspetto più apertamente ideologico alla nuova costituzione. Il primo è il riferimento al creatore e al ruolo millenario dell’entità statale.

«La Federazione russa, unita da una storia millenaria, preservando la memoria degli antenati che ci hanno trasmesso ideali e fede in Dio, così come la continuità nello sviluppo dello stato russo, riconosce l’unità statale stabilita storicamente» ha aggiunto al preambolo Putin. Un riferimento all’entità superiore fortemente voluto dal patriarca della chiesa ortodossa di rito moscovita Kirill e che ha trovato il sostegno anche del partito comunista di Gennady Zjuganov da sempre sostenitore dei valori tradizionali della Rus’ e dell’imperialismo euroasiatista. Un approccio che ha preoccupato e incuriosito però la stampa liberale.

UN GIORNALISTA di Kommersant ha voluto chiedere al portavoce del presidente Dmitry Peskov se in tal modo la laicità dello Stato non fosse messa in discussione e quale fine farebbero d’ora in poi gli atei che diverrebbero un po’ i nuovi paria di Stato. La questione ha imbarazzato non poco l’assistente di Putin che ha cercato di essere il più vago possibile. «Ora non posso rispondere a questa domanda. Ma è ovvio che lo Stato non perde il suo carattere secolare» ha dichiarato Peskov.

PUTIN INOLTRE, al riferimento della continuità statale dagli Zar fino a Eltsin, passando anche per l’Urss, ha voluto aggiungere il rigetto di ogni antinazionalismo e pacifismo: non ci sarà alcuna deroga «al dovere dell’atto popolare nella difesa della Patria». Uno Stato che ha e sempre avrà come cellula costitutiva ovviamente la famiglia. Secondo l’ideologia putiniana che presiede la vita del paese c’è «Il matrimonio come l’unione di un uomo e una donna. La difesa del matrimonio, così come le istituzioni di famiglia, maternità, paternità e infanzia è sotto la giurisdizione della Russia in quanto Stato» recita la modifica apportata dal capo del Cremlino.

Già qualche settimana fa Putin aveva chiarito che «fino a quando ci sarò io non esisterà mai il genitore 1 e il genitore 2», ma ora sembra aver pensato che il suo punto di visto potrà andare bene ai russi anche oltre la sua stessa esistenza. Un macigno volto a impedire qualsiasi battaglia sociale e legislativa per i diritti delle coppie gay e lesbiche.

Tutte queste modifiche, assieme a quelle più demagogiche sul diritto dei russi ad avere un salario dignitoso e alla indicizzazione delle pensioni, sono rivolte in primo luogo alla Russia profonda e più conservatrice della provincia. I russi saranno chiamati il 22 aprile (un giorno feriale che diverrà festivo e coincidente forse non casualmente con l’anniversario dei 150 anni dalla nascita di Lenin) a un plebiscito per approvare tali modifiche nei confronti delle quali finora hanno mostrato completo disinteresse. Ora Putin con queste nuove proposte ha chiamato a raccolta la chiesa ortodossa che di sicuro non farà mancare il proprio aiuto.

L’OPPOSIZIONE – che ha manifestato in modo massiccio sabato a Mosca – appare però divisa. Mentre da una parte il partito comunista invita a recarsi alle urne e votare no (nonostante l’apprezzamento al richiamo dei valori dell’ortodossia), le altre formazioni della sinistra e liberali si stanno orientando per il boicottaggio. Ieri alla famiglia del populista liberale Aleksey Navalny sono stati bloccati i conti bancari. Una misura che secondo Navalny «dimostra come la Russia sia ormai una post-democrazia e che qualsiasi partecipazione al referendum sia inutile perché non fa legittimare l’oligarchia dominante».