In vista del ballottaggio del 28 ottobre tra Haddad e Bolsonaro, si assiste in Brasile a un’ondata spaventosa di pestaggi e attacchi contro donne, indios, gay e persino a uccisioni sommarie per motivi politici. Dappertutto scritte razziste, scontri, parole d’ordine aggressive e una scia di odio sui social, insieme alle fake news e ai profili falsi che confondono l’opinione pubblica e i sondaggi elettorali. Ma i toni del confronto politico avevano già raggiunto un discreto tasso di volgarità nel 2015, quando la destra diffuse un adesivo con il viso dell’ex presidente Dilma Roussef su un corpo femminile a gambe aperte da mettere sul tappo del serbatoio delle macchine, in modo da far sembrare che la pompa di benzina la penetrasse.

LA DOMANDA che si pone tutto il mondo è: come mai, dai tempi di Lula da Silva, la luna di miele tra le classi, gli enti finanziari internazionali e la politica brasiliana si è interrotta in modo così violento?

D’altronde sono necessarie alcune precisazioni. No, il Brasile non è il paradiso del buon selvaggio né lo è mai stato – neanche con Lula, se me lo permettono le anime credule. Si sbaglia a credere buono il brasiliano medio del tipo sorridente, gentile e solare, dalla parlata soffice e piena di diminutivi – personaggio in fondo paragonabile allo stereotipo dell’italiano col mandolino. Antropologicamente parlando, si può dire che il brasiliano medio ha la violenza nel Dna, discendendo dagli stupri di massa compiuti sulle indigene dai deportati portoghesi arrivati nelle nostre terre. Inoltre, siamo un popolo concepito dalla violenza dei bandeirantes, gli esploratori coloniali portoghesi che dopo aver violentato le indigene ammazzavano i mariti, nel caso non volessero lavorare da schiavi nel nome di Dio e della Corona portoghese.

LA STORIA, però, scritta dai vincitori, avrebbe trasformato i nostri carnefici in eroi – ognuno perì col suo monumento, lasciando il proprio nome ai quartieri e alle vie più importanti delle città. In più, siamo gli eredi dei 300 anni che è durata la schiavitù degli afrodiscendenti, fino a oggi ancora privi di diritti.
Storicamente furono i militari a proclamare la Repubblica, nel 1889, negando però il voto a neri, bianchi poveri e donne – ovvero, quasi tutti. In 130 anni solo 5 presidenti hanno finito il loro mandato, la giovanissima democrazia ogni volta viene scossa dai latifondisti, dai colonnelli e dagli avanzi dell’aristocrazia, che èandata fallita malgrado la sua avidità.

 

Getulio Vargas

 

Tra il 1930 e il 1945 e poi dal 1950 al 1954, in Brasile c’è stato anche un dittatore che si faceva chiamare «il padre dei poveri». Un dittatore, capirai. Si è vissuto tanto di povertà, analfabetismo, di malattie varie e di isolamento culturale prima che alcuni intellettuali, studenti e contadini cominciassero a organizzarsi, alla fine degli anni ’50. Di nuovo però latifondisti, colonnelli e avanzi dell’aristocrazia fallita, quella avida, sono riusciti a rovesciare la Storia. Alleati con l’ala più conservatrice della Chiesa hanno fatto credere alla gente che ci voleva un intervento militare contro il rischio del comunismo. Così, nel 1964, un colpo militare fece nascere una dittatura assassina, durata 21 anni.

LO SCORSO 7 OTTOBRE, poco dopo la chiusura dei seggi del primo turno, il mestre di capoeira Moa de Katendê è stato ucciso con 12 coltellate a Salvador, solo per aver dichiarato il suo voto per Fernando Haddad del Pt. In un’intervista, il cantautore Caetano Veloso ha lamentato la morte dell’amico e l’immaturità dell’uomo brasiliensis: «Vuole la via più facile, non vuole prendersi la responsabilità delle cose». Il brasiliano medio trova più facilmente la strada del Thanatos che dell’Eros – un desiderio di morte e di andare laddove non vi sia alcuna tensione né conflitto che minacci il suo improbabile equilibrio. L’equilibrio del brasiliano medio (famiglia tradizionale, classe media indebitata e arrabbiata) si presenta per esempio nella forma di un Dio che tutto assolve e asseconda fuorché la logica. Nelle parole dello storico Leandro Karnal, «un Dio customizzato», disponibile magari a fare la spesa al supermercato.

LO STESSO DIO di un candidato presidente che inneggia alla tortura, che insulta le donne e incita all’odio razziale, che dice meglio un figlio morto che un figlio gay, che è contrario a tutti i diritti dei lavoratori e vorrebbe una pistola in mano a tutti. Questa strana teologia viene alimentata da decenni, nel vuoto di strumenti sociali e culturali. Sbucano solo chiese evangeliche fai-da-te, i pastori si sono creati dei partiti, si sono candidati e creano leggi a Brasilia come la cura per i gay e le restrizioni alla libertà di cattedra agli insegnanti pubblici. La cosidetta «tribuna della Bibbia», insieme a quella «ruralista» (latifondisti e anti-indigeni) e alla «tribuna della pallottola» (che preme per liberalizzare il porto d’armi) sta mettendo a rischio lo stato laico e di diritto in Brasile. E non ci sarà bisogno di Boko Haram per scomparire come democrazia, esiste davvero il rischio che uno di questi evangelici diventi presidente.

 

foto Afp

 

LA CROCIATA DI ODIO in atto comprende anche medici che si rifiutano di visitare petistas, liberi professionisti che nonostante i loro diplomi scelgono l’irrazionalità, emulando uno che, da bravo cristiano, strilla versi apocrifi della sua bibbia inventata, del tipo «Non ti stupro perché non lo meriti» e «L’errore più grosso della dittatura è stato quello di torturare senza ammazzare».

Ma, come detto, questo stato di cose non è dovuto solo al periodo elettorale, né rappresenta la fine di alcuna luna di miele tra le classi – che, ormai possiamo dirlo, non è mai esistita. Qui non ci si pone la domanda di come siamo arrivati alla soglia di un ritorno al potere dei militari.

QUELLO DI MARIELLE FRANCO lo scorso marzo non è stato l’unico delitto irrisolto di  attivisti/consiglieri comunali di sinistra/Lgbt in Brasile. Tra il 2017 e il 2018 altri 40 tra sindaci, ex-sindaci e consiglieri comunali sono stati ammazzati, più 57 attivisti legati agli indios e alle lotte per la terra (Global Witness). A Rio de Janeiro (sotto controllo dell’esercito federale da febbraio) la polizia ha ucciso il 150% in più rispetto all’anno scorso (Instituto de Segurança Pública, ISP). In base a leggi che risalgono al 1871, in Brasile la polizia ammazza impunemente circa 14 persone ogni giorno, in maggioranza ragazzi neri. In un anno sono stati denunciati oltre 60mila stupri e quasi 5 mila femminicidi (Fórum Brasileiro de Segurança Pública). Da gennaio ad agosto di quest’anno, 294 persone lgbt sono state uccise (Grupo Gay da Bahia).

NEGLI ANNI PASSATI il mondo ha festeggiato il Brasile di Lula «capace di strappare milioni di famiglie alla povertà e farle entrare nella classe media». All’estero veniva paragonato a quel presidente «padre dei poveri», suicida e poi diventato martire. È vero che per tantissimi brasiliani ci volevano proprio tre pasti al giorno sotto un tetto decente – questione di dignità. Ma bisogna chiedersi se è bastato accelerare l’economia senza rafforzarla. Mentre in Italia ai tempi del suo primo mandato (2003-2006) si diceva che Lula era «leader della sinistra italiana», lui dichiarava – per esempio, al giornale Istoè, nel 2005 – che «se un 60enne insiste a dirsi di sinistra non sta bene con la testa». Parlava agli investitori, che in quel periodo sostenevano il suo governo in cambio di favori e appalti pubblici.

LA VERITÀ è che nella migliore delle ipotesi (ahimé) il Pt ha scelto il liberismo e il disastro, sia per il partito che per il paese. Quando uscì, nel 1980, il suo manifesto era molto preciso: «Il Partito dei Lavoratori nasce dalla volontà di indipendenza politica. Siamo stanchi di servire da massa di manovra ai politici compromessi con il mantenimento dell’attuale ordine economico, sociale e politico».

 

Dilma Rousseff e Lula (foto Afp)

 

Secondo il politologo del Pt André Singer, non si è trattato di capitolazione ma di una scelta ben pensata per «evitare a tutti i costi il confronto con la borghesia tramite politiche che non tocchino gli interessi stabiliti». In altre parole, Lula e gli altri dirigenti hanno imparato a non mettersi contro il capitale. Questo cambiamento nell’ethos del partito, chiamato anche di «riformismo lieve», ha portato addirittura all’indurimento delle leggi di sicurezza da parte del governo Roussef, ha portato a criminalizzare i movimenti e ad aumentare la repressione nelle zone povere del paese e contro la popolazione nera.

SE ORMAI IN BRASILE sembra impossibile il dialogo con gli oppositori che, minimo, nel nome di Dio e del loro candidato vanno in giro facendoti il segno di una pistola con la mano, sembra anche improbabile che i dirigenti del Pt riconoscano le loro responsabilità e facciano marcia indietro.