In attesa che Salvini decida se e come fare cadere il governo dopo la rottura con Conte su 15 migranti in mare da accogliere in Italia, l’approvazione del decreto sul «reddito di cittadinanza» e le pensioni «quota 100» è stato rinviata. Per tutta la giornata di ieri si è parlato di uno spostamento a venerdì 18 gennaio. Poi a mercoledì 16. «Meglio tre giorni in più che fare tutto di corsa» ha detto Salvini. È stallo.

Di Maio, nel frattempo, ha accettato un’altra richiesta della Lega.Alle imprese che assumeranno i beneficiari del sussidio andranno 18 mesi di sgravi, non 5-6, né a quanto pare la differenza tra i 18 mesi e i mesi di sussidio goduto. Una proposta simile è stata avanzata da Armando Siri.«Lo sgravio fiscale fino a 18 mesi si sommerà a tutti gli incentivi che già esistono. Questo mi permette di abbassare da subito il costo del reddito di cittadinanza» ha detto Di Maio. E di fare guadagnare le imprese fino a un massimo di 780 euro per 18 mesi. Per il «reddito» è il passaggio da diritto della persona all’assistenzialismo alle imprese. Come il Jobs Act.

Sul rinvio dell’approvazione del decreto ha pesato la ragioneria di Stato, alle prese con calcoli non semplici. Ma l’attesa per realizzare il nuovo assistenzialismo alle imprese potrebbe essere lunga. E superare le elezioni regionali in Abruzzo del 10 febbraio dove Salvini vuole sbancare. La Lega mostra di volere cucinare a fuoco lento i Cinque Stelle fino alle elezioni europee del 26 maggio. E incassare le condizioni peggiorative di una misura compromessa.

È stata una settimana complicata per i Cinque Stelle. Il «timing» previsto è stato distrutto. Nel pre-consiglio dei ministri di martedì è stata presentata un’altra bozza del decreto, ieri giovedì il governo avrebbe dovuto approvarla. E la settimana prossima avrebbe dovuto partire l’avventura. Il caso è scoppiato quando, prima il ministro della famiglia leghista Fontana, poi Salvini, si sono accorti che nel decreto mancano i fondi per le pensioni di invalidità. «Non lo votiamo» hanno detto. Versione contestata dai Cinque Stelle secondo i quali una misura simile era stata fissata 4 mesi fa e nessuno aveva sollevato obiezioni. Non a caso sono arrivate adesso. Sorpreso, Di Maio e i suoi pontieri hanno estratto dal cilindro 400 milioni di euro inutili per coprire l’eventuale fabbisogno. Sarebbero quelli «risparmiati» sull’altra concessione, incostituzionale, fatta alla Lega: escludere le famiglie degli stranieri poveri residenti in Italia da meno di 10 anni.

Ma è la platea dei beneficiari dei disabili a non essere ancora definita. Per Di Maio è 260 mila. Ma gli invalidi civili beneficiari di una pensione media di 290 euro al mese sono 549 mila. Quelli che hanno solo l’indennità di accompagno sono 1,7 milioni. Sono 382 mila i casi in cui si cumulano pensione e indennità. Un’incertezza in cui le imboscate leghiste potranno moltiplicarsi.

La partita sul reddito alle imprese sarà lunga e piena di incognite. I Cinque Stelle mostrano di credere che basti un decreto perentorio per intimare, ad esempio, alle regioni di agire di conseguenza. Le regioni hanno in mano più della metà delle politiche del lavoro in Italia. I centri per l’impiego dipendono anche da loro. E nemmeno su questo fronte per Di Maio – ha annullato un viaggio negli Usa per seguire la partita da vicino – è stata una buona giornata. Dopo il primo, e unico, incontro con le regioni avvenuto il 16 ottobre scorso, il governo si sia dimenticato di richiamarle. E non abbia recepito nessuno dei punti di un documento consegnato allora al ministero. «Una circostanza – ha detto Cristina Grieco, assessora al lavoro in Toscana – che certamente non aiuta il percorso di un provvedimento atteso e delicato. La bozza suscita molta preoccupazione». Messaggio chiaro: il decreto va negoziato. Le regioni possono bloccarlo. E il governo può rispondere. Un conflitto senza uscite.