Una misura costruita per le imprese, mentre i poveri sono trasformati in veicoli che portano nelle loro casse gli sgravi contributivi sul modello del Jobs Act del governo Renzi. Il clamoroso rovesciamento del «reddito di cittadinanza» – un diritto sociale fondamentale della persona, svincolato dall’obbligo al lavoro e dalla nazionalità, da riconoscere in maniera incondizionata – in una politica dell’offerta di forza lavoro a sostegno delle imprese è stato presentato ieri, per la seconda volta in due settimane, nel singolare set dell’auditorium Enel a Roma. Con uno stile enfatico, e improprio, il governo ha celebrato lo stanziamento di 5,9 miliardi di euro a partire dal 2019 (e uno per i centri per l’impiego) in sussidi vincolati all’obbligo del lavoro («workfare») come un successo. Non per gli effetti che non ha ancora ottenuto, ma per il fatto che le risorse sono state stanziate ed è stato scritto un decreto. Il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio, nei panni del mago David Copperfield, ha sollevato un telo bianco dalla teca contenente la prima carta-feticcio del «reddito di cittadinanza». «È la numero uno – ha detto – Un po’ come la moneta di zio Paperone». La tessera è uguale alla card Poste Pay, con il simbolo riconoscibile del circuito «master card», senza logo, pensata per non creare «discriminazioni». E non importa se carte elettroniche simili esistono in Italia sin dal tempo del governo Berlusconi che adottò una «social card». Una tessera simile è stata sperimentata con il reddito di inclusione (ReI) successivo.

NESSUNO SI È ACCORTO che il brano «Fix You» dei Coldplay, scelto per musicare l’evento, racconta la storia di fallimenti, non di successi. Il cantante Chris Martin pronuncia queste parole: «Quando provi a fare del tuo meglio ma non ci riesci/Quando prendi quel che vuoi ma non quello di cui hai bisogno/ Quando ti senti così stanco ma non puoi dormire/Torna indietro». Non sono parole che rispondono agli auspici del governo, ma suggeriscono le idee che potrebbero accompagnare chi accetterà le condizioni del sussidio, compreso l’obbligo ad accettare offerte di lavoro entro 100 km da casa nei primi sei mesi, 250 entro 12, poi in tutto il paese. Quando i lapsus dicono di più della scena ufficiale. Nel corso della cerimonia il presidente del Consiglio Conte ha definito il sussidio «una conquista di civiltà» di cui il «governo è orgoglioso», dovrebbero esserlo «tutti gli italiani». «Noi abbiamo studiato riforme simili in Europa – ha aggiunto – gli altri studieranno la nostra riforma».

PARLIAMO DI UNA «RIFORMA» a rischio di incostituzionalità perché esclude gli stranieri extracomunitari residenti da meno di 10 anni. Complicato mix di sostegno al reddito, inclusione sociale, formazione e attivazione dei lavoratori, questo «workfare» imita, con un ventennio di ritardo, politiche analoghe in Germania, Inghilterra o Francia. Lo fa con una fretta spropositata, dovuta alla scadenza elettorale delle europee a maggio. La partenza è prevista il 6 marzo. I primi soldi ad aprile. L’Istat stima che 752 mila famiglie potenziali beneficiarie vivono a Sud. L’importo sarà di 5045 euro annui per 2,7 milioni di destinatari. Una stima dimezzata rispetto a quella del governo (4,9 milioni) a cui dovrebbero aggiungersi i percettori del«reddito di inclusione» (ReI). Nel corso dello show è stato lanciato il sito redditodicittadinanza.gov.it.

Nel frattempo alla commissione lavoro al Senato sono iniziate le audizioni. Per le regioni, a cui la Costituzione affida le politiche dell’occupazione, il problema sono i 6 mila «navigator» precari che l’Anpal assumerà con un contratto co.co.co entro maggio. Pongono un problema di governabilità del sistema e chiedono lumi sulle assunzioni di altre 4 mila persone (e poi i 6 mila «navigator»). Di Maio gli ha detto che stanno facendo «casino». Un’uscita che ha sollevato reazioni indignate. Di Maio dovrebbe ascoltare: il sistema che vedrà la luce dipende da 20 regioni, non solo dalla sua volontà. Le piattaforme elaborate dal professore del Mississippi Mimmo Parisi, prossimo presidente Anpal, sono ritenute poco compatibili con il sistema italiano. I «navigator» pongono problemi «costituzionali» perché rischiano di sovrapporsi agli operatori dei centri per l’impiego. Cristina Grieco, coordinatrice per le regioni, ha esortato «a non fare pasticci». Senza correzioni all’ultimo miglio si moltiplicheranno imprevisti. E i ricorsi.

L’ALTRO FRONTE è con Confindustria: il «reddito» sarebbe uno strumento «sostanzialmente passivo» di politica sociale che indurrà a «un effetto scoraggiamento». Gli industriali, insensibili per ora agli sgravi, preferiscono il «ReI» inglobato nella nuova misura. Dello stesso parere è Tito Boeri, forse alla sua ultima audizione da presidente dell’Inps, secondo il quale a causa della limitatezza delle risorse – al contrario di quanto sostenuto fin’ora dal governo e dalla sua maggioranza – saranno penalizzate le famiglie più numerose, colpite da una maggiore povertà. Anche i senza fissa-dimora lo saranno, essendo incerta la loro residenza, come anche l’applicazione del criterio scelto per individuare i poveri assoluti: un reddito Isee inferiore ai 9.360 euro. Per Boeri, non diversamente dal ReI, la nuova misura sarà percepita da 644 mila single. Ad avviso dell’economista arriverebbero a ricevere un salario superiore al 45% dei dipendenti privati del Sud. Il 50% delle famiglie sarebbero inoltre senza redditi e, tra queste, si nasconderebbero «evasori e sommersi totali». È la prima quantificazione della platea su cui scatteranno i controlli. Il «workfare» ha un corollario: chi è in povertà vivrà nel sospetto e dovrà dimostrare di non essere un «fannullone». In caso di truffe, la pena prevista è fino a sei anni di carcere.