«Vogliamo entrare in Italia, siamo in fuga da crisi politiche e assenza di diritti umani», ha scritto un ragazzo che con altri 58 naufraghi attende un porto sulla Louise Michel. Dieci le richieste di porto senza risposta. Intanto altri 304 migranti sono stati una settimana sulla Sea-Watch 4 e 156 si trovano a bordo della Ocean Viking.

Numeri piccoli che sommati a quelli degli sbarchi non configurano alcuna emergenza, come spiega Flavio Di Giacomo. Il portavoce per il Mediterraneo dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) dice: «Attese in mare e politiche emergenziali devono finire, la crisi Ucraina mostra che le migrazioni si possono gestire in un altro modo».

In Italia c’è un allarme sbarchi?

No, a oggi gli arrivi via mare sono 26.652 rispetto ai 19.794 del 27 giugno 2021. Nel periodo 2014-2017 gli sbarchi sono stati tra 120 e 180mila l’anno. Neanche allora c’era un’emergenza: la percentuale sulla popolazione italiana era dello 0,3%. In più quest’anno abbiamo visto che 8 milioni di persone sono fuggite dall’Ucraina in quattro mesi. Questo è un flusso imponente. In Italia dal 24 febbraio sono arrivati 135mila ucraini: cinque volte gli sbarchi, ma nessuno ha parlato di emergenza. La vera emergenza? I 724 morti in mare.

Rispetto al 2021 gli sbarchi sono aumentati del 28%. È l’effetto della crisi del grano?

L’aumento è su numeri molto bassi e non c’è alcuna evidenza che sia legato al grano. In ogni caso se ci saranno problemi di approvvigionamento alimentare dovremmo concentrarci sulle persone che muoiono di fame, non sul fatto che migrano. Mi pare si stia cercando una narrazione emergenziale sugli arrivi via mare che non ha alcun legame con la realtà. Ogni anno si annunciano 400mila sbarchi, ma poi non si verificano. Bisogna allontanarsi da una visione eurocentrica secondo cui i migranti vogliono venire tutti in Europa: l’80% restano in Africa.

Se non c’è un’emergenza perché l’hotspot di Lampedusa è in difficoltà?

Ha una capienza ridotta rispetto a quando è stato aperto. Poi gli sbarchi vanno a folate: aumentano e si ingolfa, diminuiscono e si svuota. C’è un problema di velocità di trasferimenti, perché non è facile trovare i posti nei centri di accoglienza.

È quello il collo di bottiglia?

A livello italiano ed europeo bisognerebbe guardare agli sbarchi come a un fenomeno strutturale. L’Italia negli anni scorsi era veloce nello smistamento dei migranti. Il Covid-19 ha complicato le cose, ma adesso la situazione è cambiata. Abbiamo visto lunghe attese per le Ong a causa della mancanza di posti sulle navi quarantena. Queste però non ci sono più.

Le attese però continuano: in mezzo a quest’ondata di afa 304 persone sono state lasciate per una settimana sulla Sea-Watch 4. È accettabile?

Va assolutamente velocizzata l’assegnazione dei porti. I migranti salvati in mare da Ong, Guardia costiera o navi commerciali sono traumatizzati dal viaggio e dall’esperienza in Libia, dove nulla migliora. Bisogna garantire protezione a tutti loro per ciò che hanno sofferto in un paese di transito come la Libia. In questi casi la distinzione tra migranti economici e rifugiati non regge. Fare aspettare queste persone in mare non è accettabile.

Il 26 gennaio e poi il 19 giugno 2019, quando al Viminale c’era Salvini, l’Oim ha pubblicato due comunicati, uno firmato anche da Unhcr e Unicef, per chiedere lo sbarco di 47 e 43 persone che erano sulla Sea-Watch 3 da sette giorni. Perché adesso nessuno alza la voce?

Da parte nostra e di altre organizzazioni i richiami continuano, ma per altri canali. Nei mesi scorsi c’era una difficoltà oggettiva a trovare spazio sulle navi quarantena. Ma adesso quella situazione è finita. Se le attese dovessero aumentare sarebbe giusto fare appelli congiunti per chiedere che finiscano.

Venerdì tra 23 e 37 persone sono morte per entrare a Melilla. Cosa dice questa strage?

Nel 2022 a Melilla sono arrivate 1.087 persone. In Spagna 13.869 in totale, comprese le Canarie. Né a Ceuta, né a Melilla c’è una massa di gente pronta a invadere l’Europa. Bisogna chiarire tutte le responsabilità su quei morti. Non è la prima volta che accade. Le barriere lunghe chilometri creano una dinamica pericolosa. Come Oim, al pari di Unhcr, chiediamo di aumentare i canali di ingresso legale. Al momento non ce n’è quasi nessuno. Questo aiuta i trafficanti.