A lungo esibita come il simbolo dell’emergenza umanitaria legata all’esodo dall’Africa e dal Medio Oriente, la Giungla di Calais, che aveva superato i 10 mila abitanti, è stata raccontata da centinaia di servizi giornalistici, film e documentari, per poi venire demolita quasi interamente nell’inverno del 2016. Ed è proprio in quel periodo che arrivano a Calais per girare anche Nicolas Klotz e Elisabeth Perceval, autori del documentario in concorso in questi giorni a Filmmaker Festival L’Heroique Lande – La frontiere brûle, che si immerge nella Giungla e tra i suoi abitanti per ricavarne però una diversa prospettiva da quella che ci è stata spesso raccontata.

Diviso in due parti, il film «abita» The Jungle prima e dopo l’intervento della polizia che l’ha in gran parte rasa al suolo: dalla Nascita di una nazione, come recita la prima didascalia del film, alla sua dissoluzione. I racconti dei suoi abitanti sono quelli già sentiti tante volte: il pericoloso viaggio per mare, la prigionia in Libia dove vige la tortura e il ricatto, la violenza della polizia francese nei loro confronti – quella denunciata da un rapporto di Human Rights Watch che parla di pestaggi, ostacoli ai rifornimenti di cibo e acqua, vessazioni quotidiane.

Ma come osserva Nicolas Klotz gli abitanti della Giungla: «non si vedevano come vittime, in realtà hanno una grande forza». Luogo di dolore e di confine – la frontiera del titolo del doc è il lembo di mare che separa Calais dalla Gran Bretagna e che i migranti cercano di attraversare tutti i giorni – la Giungla è infatti anche un posto che ribolle di vita e speranze, babele di lingue e culture come tutte le grandi metropoli, punto d’incontro e laboratorio di città future. Nella sua distopia ma anche nell’ irriducibilità al controllo totalizzante del potere, la vitalità e il desiderio di futuro.

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Come è nata la decisione di girare nella Giungla?

L’appeal de Calais – un gruppo di registi, sociologi e filosofi – ci ha invitati a gennaio del 2016 a passare qualche giorno lì per osservare la situazione e girare qualcosa per il loro sito web. Ma poi ci siamo trattenuti per due mesi, e quando abbiamo iniziato a montare siamo tornati altri cinque volte restando una settimana ogni volta, perché quello che filmavamo ci interessava: eravamo colpiti dalla forza delle persone e avevamo l’impressione di poter fare qualcosa di unico, che mostrasse The Jungle da un punto di vista completamente diverso rispetto a quello a cui eravamo abituati.

Infatti il film la racconta in un modo radicalmente opposto rispetto ai mezzi d’informazione.

Noi siamo registi, quindi ciò che ci interessa è il cinema, e la libertà che delle piccole telecamere ci possono dare nel riprendere le cose mentre accadono. Abbiamo instaurato un rapporto profondo con gli abitanti della Giungla, che sono diventati nostri amici: il film è fatto insieme a loro, alle loro vite. Ciò che vedevamo attraverso i mezzi d’informazione dava invece sempre l’impressione che i giornalisti andassero in cerca di immagini con cui illustrare delle cronache già scritte. La sensazione è che i media abbiano contribuito alla distruzione della Giungla: non filmavano la realtà, ma cose che facevano il gioco di chi, come il governo francese, voleva radere quel posto al suolo.

In «Heroique Lande», The Jungle ha molte delle caratteristiche di una grande metropoli.

È come una città del futuro in cui diverse nazionalità, lingue e culture riescono a lavorare insieme per costruire qualcosa di nuovo, che aiuti tutte queste persone a trovare un po’ di pace e di riposo prima di capire come intendono andare avanti per il resto delle loro vite. Era un luogo molto libero, pieno di energie e di giovani completamente aperti verso nuove prospettive, nuovi orizzonti, una nuova democrazia. Era infatti un posto fortemente democratico, anche se mancavano le difficoltà. Ma ogni città agli inizi affronta degli ostacoli, e The Jungle era come una città che stava sorgendo dal fango: non composta da persone che vivono nel fango, ma che stavano provando a costruire qualcosa di nuovo a partire da esso.

Forse questa è la ragione per cui uno dei ragazzi eritrei che seguite per tutto il film, e che è riuscito a raggiungere la Gran Bretagna, dice che si trova male e vorrebbe tornare indietro.

rché lì ha incontrato tante persone del suo paese, si è fatto nuovi amici con cui tentava continuamente di andare in Inghilterra: era il loro sogno. Ma quando si è trasferito a Glasgow e si è ritrovato da solo – con le bollette da pagare e una vita da ricominciare di nuovo da zero – si è reso conto di ciò che aveva perso. Credo però che la Giungla abbia dato a queste persone la forza, l’intelligenza e l’energia per trovare la loro strada anche nel Regno Unito. Ora a Calais tutto è stato distrutto: lui sa di non poter tornare, che quell’esperienza è purtroppo finita.

Quasi tutti nel film parlano delle violenze della polizia francese.

Non è lo stesso genere di violenza che subivano in Libia, ma tutti i giorni avevano a che fare con i gas lacrimogeni, i pestaggi e in generale la brutalità della polizia. Heroique Lande si oppone proprio alla paura: si prende il tempo di testimoniare il modo in cui le persone provano a crearsi una nuova vita senza timore – ad andare avanti nonostante polizia, nonostante il loro passato. E una simile impresa era un tale esempio di libertà che hanno dovuto distruggere quel posto: per poter di nuovo incasellare le persone ne solito e triste stereotipo delle vittime. Farle tornare a essere numeri e non esseri umani.